La Serra di Monte Vergine domina dai suoi 99 metri d’altezza il versante est del basso Salento, costituendo il centro di un territorio circolare che si estende a oriente verso la costa adriatica e nell’entroterra verso l’adiacente cella di Sant’Eleuterio. Eletto già a “luogo sacro” dal popolo costruttore di megaliti, Monte Vergine corrisponde a un “ombelico territoriale”, a un nodo energetico della griglia elettromagnetica reticolare della Terra. Fu contrassegnato da un menhir quale simbolico Axis mundi e probabilmente, sull’esempio di altri centri geodetici, anche da una specchia di mira oggi non più esistente.
Il santuario dedicato alla Vergine che dà il nome al monte è ipogeo ed è costruito con caratteristiche architettoniche settecentesche nel vano di una grotta eletta già in origine a “sito sacro”, poiché dedicato al culto delle acque per la presenza di un corso d’acqua sotterraneo. La dedica del santuario alla Madonna conferma anche in epoca cristiana il riconoscimento della antica sacralità del luogo. In origine tali cavità sacre erano dedicate alla dea Madre astrale, associata alla luna, alle cui fasi si faceva riferimento per ritmare il periodo della gestazione della donna.
Secondo una tradizione di origine paleolitica, infatti, i fiumi ipogei circolanti nel sottosuolo carsico erano gli elementi naturali che rendevano fecondo il grembo della madre terra, in analogia al liquido amniotico necessario al grembo della gestante.
Il millenario culto della dea era stato praticato nel Salento sin dal gravettiano con riti specificatamente riferiti alla fertilità della donna, come attestano i reperti rinvenuti nella Grotta delle Veneri di Parabita sulla Serra San Eleuterio, luogo già individuato quale centro energetico della cella geodetica megalitica dominante il versante ionico salentino, a sud-ovest dell’area di Monte Vergine.
Le due celle megalitiche, di Sant’Eleuterio e di Monte Vergine, sono adiacenti e i loro centri sono collegati da un vettore di circa Km. 24, per cui le due circonferenze tangenti sono uguali, con raggio di circa Km. 12. Il punto di tangenza è in prossimità dell’incrocio tra la strada per Scorrano e quella che collega Serra San Eleuterio con Monte Vergine, una via costeggiata dalle Masserie Grande, Fontana e Luca Giovanni, ossia da una serie allineata di costruzioni rurali, che spesso nel Salento sostituivano menhir, dolmen o piccole specchie, fungendo esse stesse da marcatori geodetici.
La circonferenza di 12 Km. di raggio descrive la cella territoriale di Monte Vergine passando nell’entroterra per Corigliano d’Otranto, per Masseria Barrotta, per la Specchia dei Mori sulla Serra di Martignano (altro centro geodetico) e per Borgagne. Raggiunge il Mare Adriatico nel punto dove vi è la Masseria Specchiulla e, costeggiando la Palascia, rientra sul territorio nei pressi di Porto Badisco. Prosegue poi di nuovo nell’entroterra passando nei pressi di Vitigliano e di Ortelle e attraversa la Serra di Ruffano in prossimità della chiesa Madonna della Serra, prima di chiudersi presso Scorrano sul punto di tangenza con la circonferenza di uguale raggio che delinea l’adiacente cella geodetica di Sant’Eleuterio.
L’area circoscritta intorno a Monte Vergine è ricca di vestigia megalitiche. Oltre al menhir omonimo eretto nel luogo più elevato, dove è possibile spaziare con lo sguardo verso il mare Adriatico, vi è in pianura il menhir di Palanzano, il primo della serie distribuita a “macchia d’olio” intorno all’altura.
In questa area sono ancora presenti le più antiche testimonianze della suddivisione geodetica megalitica nei siti più noti del megalitismo salentino, quali: Giurdignano, con 18 menhir (3 scomparsi) e con 7 dolmen (2 scomparsi); Otranto (1 menhir scomparso); Uggiano la Chiesa, con 1 menhir; Giuggianello, con 2 menhir; Muro Leccese, con 3 menhir (5 scomparsi); Morigino, con 2 menhir (1 scomparso); Cannole, con 1 menhir (1 scomparso); Cursi, con 2 menhir (2 scomparsi); Bagnolo del Salento, con 1 menhir; Melpignano, con 5 menhir; Carpignano, con 2 menhir (2 scomparsi); Minervino, con 1 menhir e 2 dolmen; Cerfignano, con 1 dolmen; Cocumola, con 2 menhir (1 dolmen scomparso); Botrugno, (1 menhir scomparso); Vitigliano, con 1 menhir; Vaste (1 dolmen scomparso); Scorrano, con 2 menhir; Maglie, con 5 menhir e 7 dolmen (2 menhir e 3 dolmen scomparsi); Corigliano, con 2 dolmen; Martano, con 1 menhir (4 scomparsi).
Nello sviluppo di vettori che si diramano a raggiera da Monte Vergine nel settore esposto verso il mare Adriatico, orientati da nord-est a sud-est verso la levata del sole, troviamo il collegamento con il Capo d’Otranto attraverso il menhir di Palanzano, quello con il promontorio La Palascia attraverso Giurdignano, con Torre Sant’Emiliano attraverso Casamassella-Uggiano La Chiesa, con Porto Badisco attraverso Uggiano La Chiesa, con Santa Cesarea attraverso Minervino di Lecce e Cerfignano, con Castro attraverso Vitigliano e il più lungo raggiunge Capo di Leuca attraverso vari siti allineati con Giuggianello.
Molti collegamenti tra luoghi megalitici dell’entroterra sono protesi verso la costa ionica, nel settore orientato verso il tramonto del sole compreso tra l’allineamento Monte Vergine-Martano a nord-ovest e Monte Vergine-Specchia Silva a sud-ovest.
Altri si sviluppano tanto nel settore ionico, quanto nell’area adriatica a nord di Otranto comprendente le varie le zone umide, attraverso masserie e luoghi di culto, anch’essi allineati poiché sorti in sostituzione degli originari megaliti. La cella geodetica di Monte Vergine è anche adiacente a quella avente il centro contrassegnato dalla Specchia Silva in località Cardigliano, alle propaggini della Serra di Ruffano.
L’area non compresa tra queste due celle corrisponde a un triangolo curvo avente il vertice interno che punta verso la chiesa della Madonna della Serra e gli altri due vertici sulla costa adriatica che si estende da Porto Badisco a Marina di Andrano. Vi è presenza di megaliti anche in questo triangolo di terra non compreso nelle aree circolari descritte e che si affaccia sull’Adriatico con un tratto di costa caratterizzato da una serie di grotte tra le più spettacolari, come la Grotta dei Cervi di Porto Badisco e della Zinzulusa presso Castro, che si inoltrano per centinaia di metri nel sottosuolo. Entrambe le cavità presentano formazione di stalattiti e stalagmiti e sono percorse da un fiume ipogeo che forma un laghetto interno.
Meno spettacolare, ma importante sotto l’aspetto culturale è la Grotta Romanelli, frequentata anche dall’uomo di Neandertal, oltre che dal Sapiens.Sapiens romanelliano che ha lasciato le sue tracce nelle incisioni di carattere schematico.
Culturalmente collegata alla Grotta dei Cervi di Porto Badisco, che racchiude oltre tremila segni tra pittogrammi e ideogrammi, è anche la piccola Grotta Cosma presso Santa Cesarea Terme, il centro noto per le sue acque sulfuree. Presso Miggiano dove la costa elevata è soggetta a erosione e a frequenti crolli vi è ancora un menhir, mentre presso Castro si ha notizia dell’esistenza di due dolmen, oggi scomparsi.
Nell’area interna vi sono un dolmen e un menhir presso Diso e uno a Vitigliano. Allineate in un unico vettore si trovano anche le chiese della Madonna della Serra, di San Rocco e quella prospiciente la località costiera Marina di Marittima.
La presenza dei megaliti in un’area non appartenente alle celle geodetiche descritte indica che essi, oltre che il compito di marcatori geodetici, avevano anche quello di equilibrare i flussi elettromagnetici della terra, in virtù dei materiali buoni conduttori impiegati per la loro costruzione.
Nelle aree periferiche delle celle megalitiche si intensificano infatti i fenomeni distruttivi del territorio, con la formazione di vore nei terreni carsici, di erosioni delle aree costiere e di aperture di faglie sui luoghi dove le rocce di diversa natura vengono in contatto senza fondersi. Una lunga linea di faglia si sviluppa infatti lungo la dorsale Maglie-Castiglione, estendendosi da Corigliano fino a Marina d’Andrano, passando per Scorrano e per Nociglia, ossia toccando le aree periferiche di tutte tre le celle megalitiche esaminate: di Sant’Eleuterio, di Specchia Silva e di Monte Vergine.
Le leggende e le superstizioni che si sono tramandate in riferimento ai megaliti e soprattutto ai menhir attestano che i luoghi dove essi sorgevano incutevano spesso terrore per l’instabilità del terreno e per il collegamento con gli abissi misteriosi, ritenuti luoghi percorsi da forze incontrollate, che si manifestavano con terremoti e altri fenomeni distruttivi. Ciò giustifica l’alone magico, tra sacro e profano, che è stato tradizionalmente attribuito ai megaliti e ai luoghi sui quali essi venivano eretti.
Le pratiche rituali erano coniugate alla “fertilità” per i menhir isolati e alla “rinascita” per quelli associati ai dolmen, ossia ai luoghi di sepoltura accoglienti come grembi della madre terra dal carattere lunare, sedi protettive per il defunto nella fase notturna di passaggio, prima di emergere nella solarità della definitiva rinascita, secondo un concetto di morte non definitiva, passaggio e preludio a una vita superiore.
Oggi i menhir, pietrefitte o pietrelunghe, come vengono altrimenti denominati, ci appaiono sgombri da qualsiasi ornamentazione che rimandi alla loro funzione simbolico-religiosa originaria, essendo prevalsa in alcuni, dove vi è praticato un incavo porta-lucerna, la funzione di “indicatore della via” all’interno dell’organizzazione geodetica megalitica. In altri, attraverso le croci incise, si è voluto far prevalere il carattere cultuale, ma rinnovato nel riferimento alla religione cristiana.
Secondo una pratica tramandata fino a tempi recenti, la domenica delle palme ci si recava in processione per ornare i menhir con le palme benedette. A ben vedere si rinsaldava così l’antico legame tra morte e rinascita, cui rimandano anche la crocifissione e la resurrezione di Cristo, e si ribadiva il carattere solare della religione cristiana, di Cristo originariamente inteso come Sole invicto, con il richiamo all’energia benefica irradiata dal Sole in fase di equinozio primaverile per favorire la rinascita ciclica degli elementi di natura esistenti sulla Terra.
Oggi alla tramandata funzione magico-cultuale dei megaliti possiamo aggiungere quella pratica di marcatori spazio-temporali, ossia di “calendari solari annuali e precessionali”, per essere stati elevati seguendo il percorso apparente del sole all’orizzonte. Fa seguito quella più sofisticata, non facilmente rivelabile, di “catalizzatori ed equilibratori del campo elettromagnetico della terra”, per essere stati concepiti da antichi geomanti come trasformatori delle linee di flusso, che da caotiche potevano divenire “coerenti” in virtù dei materiali megalitici impiegati.
Essi avevano, pertanto, il compito di “risanare” il territorio, non immettere in esso energia distruttiva, se non quando se ne fosse fatto un uso improprio, spostandoli dal loro posto originario o devastando i loro siti, per depauperarli del loro materiale litico o anche dell’oro ad essi associato per rinforzare la loro implicita proprietà di conduzione stabilizzante.
Marisa GRANDE