L'antica chiesa di San Lazzaro di Gallipoli e... i nuovi barbari!!!

Le irreparabili ferite inferte alla chiesa di San Lazzaro hanno determinato il definitivo declino di "un bene culturale" obliato dagli storici, deturpato dagli Amministratori e abbandonato dalla Chiesa locale.
In un quadro ad olio del 1773 (museo civico) è presente nel nuovo Borgo, tra rari monumenti, la chiesa di San Lazzaro sul colle omonimo. Nel 1707 iniziarono i lavori finanziati con capitali privati e affidati a mastro Orontio Forcicchia.
Il 29-3-1719, benedetta dal vicario don Nicolò Giordano, salutata con colpi d'artiglieria da dieci bastimenti, assente il vescovo Filomarini, la chiesa veniva aperta al pubblico. L'altare maggiore, dedicato allo Spirito Santo, presentava analogie con i due antistanti altari gemelli (S. Lazzaro, monaco di Costantinopoli, e SS. Cosma e Damiano).
Due strade, da Alezio e Nardò, rasentavano la chiesa con carreggiate scavate nella roccia. Mercanti, vacanzieri e pellegrini sostavano in chiesa, prima di proseguire per l'abitato.
Al 15-10-1922 è il primo tentativo di scempio della chiesa a picco sulla trincea della ferrovia, realizzata nel 1886. Due "pecorari", Suez Ruggero e Stefanelli Vincenzo, con una strana richiesta al Comune chiedevano la stipula di un contratto di locazione della chiesa per il loro gregge.
La chiesa, chiusa provvisoriamente al culto, era passata al Comune che esercitava diritto di "patronato", perché costruita su "suolo pubblico". Lo zelante commissario prefettizio De Girolamo, redatto un documento biennale d'affitto, aveva imposto ai convenuti un canone annuo di cento lire.
Sollecitate da cani e bastoni, le capre varcavano la soglia, belando tra gli altari.
Impotente la Curia vescovile, tranne Sebastiano Natali, il vulcanico e discusso canonico. Occorreva un pretesto e l'occasione gli fu offerta dal comma 7 del contratto: "….se durante il periodo dell'affitto, il locale fosse necessario a questa Amministrazione, i conduttori dovranno rilasciarlo il mese successivo a quello della notifica".
Tre anni dopo, il Natali veniva ricevuto dal sindaco Salvatore Starace.
I termini del colloquio non vennero mai alla luce. Probabilmente l'astuto canonico aveva posto l'accento sull'amicizia con il gerarca Achille Starace, segretario del P.N.F., costringendo il sindaco ad annullare la delibera di locazione del 1922, che aveva reso la Chiesa un ovile.
L'alba del 10-11-1925 il Natali si avviò verso il colle San Lazzaro con le chiavi della chiesa, minacciando di scaraventare le capre nella trincea ferroviaria. Suez e Stefanelli, intimiditi, si allontanarono con il gregge.
Dieci anni durò il restauro: demolizione dei due altari fatiscenti, rivestimento in marmo di mensa e dorsale, pulitura delle pareti "disadorne ed ammuffite".
Nel 1935 una lastra marmorea, sul retroprospetto, ricordava l'episodio. Ripristinato il culto, l'antica chiesa era il polo d'attrazione del rione, sottoposto ad un processo inarrestabile di sviluppo urbanistico.
Intanto, ad est del portale, all'interno dell'area di pertinenza, era stato realizzato da titolari di un opificio vinicolo un muro di recinzione con conci di Daliano.
Nel 1952 mons. Margiotta, per ragioni demografiche, la elevò a parrocchia.
Un infausto locale, sul lato nord, fu edificato nel 1962 dal parroco pro-tempore, complice l'ossequiosa indulgenza della maggioranza consiliare. Solo motivi d'ordine pastorale: la sera, con modica cifra di dieci lire, si poteva assistere al quiz tv "lascia o raddoppia?".

Mons. Margiotta, il 25-9-1953, indirizzava al Comune istanza di concessione gratuita di un suolo edificatorio per un'altra chiesa, stante l'esodo della popolazione verso est.
L'iniziativa del presule fu portata a termine da mons. Quaremba.
Nel corso di una solenne cerimonia, giugno 1970, la nuova chiesa ufficialmente venne aperta al culto e s'iniziava l'attacco frontale alla struttura della vecchia ad iniziare da un nucleo abitativo addossato all'edificio. A distanza di sessant'anni dalla richiesta di locazione, il 18-7- 1983 due soci commercianti rivolgevano alla Curia vescovile domanda di acquisto del locale.
Nella lettera si leggeva che "il locale in questione era adibito a deposito di elettrodomestici, chiesa compresa, a cura di una ditta, a cui il parroco aveva ceduto in locazione lo stabile".
Incredulità e costernazione in Curia per la exsecratio senza il nulla osta dell'ordinario diocesano. Ma, dopo varie fasi interlocutorie ed evasive, non se ne fece nulla.
In seguito, da parte di Vittorio Fusco, lo sfortunato vescovo cultore della nostra storia, pur frequentando assiduamente la "sua" Gallipoli, mai un accenno al disastrato status della chiesa.
Si può ipotizzare che anche l'attuale titolare sia all'oscuro dell'esistenza della vecchia chiesa, stante l'indifferenza verso il nostro patrimonio storico-culturale.
Sarebbe però ingeneroso attribuire al Clero la responsabilità dello squallido stato della chiesa. Ai preti impegnati ad edificare locali, sempre più ampi, non rimangono che le briciole delle ingenti cifre tratte dal laicissimo fondo dell'otto per mille o da contributi vaticani, rivenienti da oblazioni laicali.
E siamo alle devastanti incursioni : scomparso l'unico altare, sostituito il portale ligneo con porta in metallo e vetro, intonacato orrendamente il prospetto, trasformato in box il locale a nord e ridotta a centro commerciale l'aula ecclesiale. Silenzio assoluto della Soprintendenza ai Beni culturali !

Gianni Caridi