Eugenio Barba, artista e intellettuale poliedrico, viaggiatore curioso
e instancabile, è uno dei più autorevoli registi e teorici dello
spettacolo teatrale del secondo Novecento.
Ha rappresentato nelle maggiori città italiane, europee e di ogni
continente, insegnando "ricerca sul teatro" con dotte conferenze in
molti Atenei: Torino, Bologna, L'Aquila, La Sapienza di Roma, Lecce (a
lui si deve la nascita del laboratorio sperimentale dei Koreja, oggi
affermato teatro stabile leccese). È autore di opere e saggi sulla
storia del teatro: Alla ricerca del teatro perduto (1965), Aldilà delle
isole galleggianti (1985), La canoa di carta (1993), Teatro-solitudine,
mestiere, rivolta (1996), La terra di cenere e diamanti (1997), L'arte
segreta dell'attore (1997, in collaborazione col prof. N. Savarese
della Facolt? felsinea) e infine Il prossimo spettacolo.
Della sua attività è disponibile su Internet una dettagliata bibliografia plurilingue in decine di siti e pagine web.
Nato a Brindisi il 29-10-1936 da padre gallipolino (Emanuele, ufficiale
della Milizia, pronipote dell'omonimo umanista fondatore del Museo
civico) e da madre romana (Vera Gaeta, figlia di un Ammiraglio di
stanza a Brindisi), durante la guerra si trasferì con la famiglia a
Gallipoli, dove visse nella casa avita (via Micetti, 38) in una
dignitosa indigenza per la morte del padre.
Finito il ginnasio, conseguì nel 1954 il diploma liceale presso il
collegio militare della "Nunziatella" a Napoli, dove per la prima volta
si accostò al teatro. Ma, spirito romantico e intollerante dei limiti,
ben presto, per varie ragioni, non escluse quelle famigliari, lasciò
tutto, casa e radici, e s'imbarcò da Genova su un mercantile in
partenza per la Norvegia.
Si fermò a Oslo per lavorare (come
garzone e saldatore d'officina), per studiare letteratura francese e
laurearsi in Storia delle religioni, non prima di aver sposato idee
marxiste.
Nel 1956 s'imbarcò per l'Estremo Oriente, l'India e
l'Africa, dove, spinto dal "sentimento del diverso", dello straniero
che scruta un altro straniero, "si ubriaca di musica e di immagini".
L'anno successivo torn? a Oslo dove seguì l'ambiente universitario e
teatrale e ottenne una borsa di studio per frequentare lezioni di regia
a Varsavia.
Per molto tempo viaggiò scoraggiato per la Polonia
finché scoprì a Opole il "Teatro delle 13 File", diretto dal regista
polacco Jerzy Grotowski, del quale dal 1960 seguì a Varsavia un corso
triennale di direzione teatrale.
Nel 1964 fondò a Oslo l'Odin
Teatret, una compagnia sperimentale di dilettanti, mirando ad un
rigoroso studio, anche psicologico, dei mezzi espressivi dell'attore.
Nel
1965 trasferì la sua esperienza teatrale a Holstebro, un paesino danese
di ventimila abitanti, dove vive e opera dirigendo l'Odin e continuando
l'ardita politica culturale animata da dibattiti e confronti a tutto
campo.
Nel 1980, dopo aver individuato, come teorico del "terzo teatro"
(itinerante e in spazi aperti), il carattere internazionale di una
cultura d'avanguardia, fondò una scuola internazionale, frequentata da
studiosi e studenti di tutto il mondo, l'Ista (International School of
Theatre Antropology), intitolata all'antropologia teatrale come studio
dei comportamenti extraquotidiani dell'uomo. Tra le recenti
rappresentazioni si ricordano: Min Fars Hus (1972), Come! And the day
will be ours (1976), Ceneri di Brecht (1980), Il Vangelo di Oxirynchus
(1985), Talabot (1988), Kaosmos (1993), Mythos (1998), tutti spettacoli
originali di altissimo livello artistico rispondenti alla sua teoria:
"Ognuno porta nel ventre dei morti, ma questi si agitano, si muovono,
sta all'individuo dar loro voce, sono una specie di memoria".
Nelle
sue opere teatrali ha sempre affrontato, in forma personale e col
concorso creativo degli attori, problematiche socio-politiche, legate
alle angosce del nostro tempo, riassumibili nella condanna della
violenza del potere e dell'oppressione dei pi? deboli. Attualmente
l'Odin è uno dei maggiori punti di riferimento dell'arte teatrale
sperimentale dell'ultimo trentennio; sulla sua scia ha preso vita dagli
anni '70 il vasto movimento internazionale del terzo teatro.
La sua scuola teatrale, improntata ad un severo studio della realtà
esistenziale e della psicologia umana, è fatta di energia vitale,
sorprendenti innovazioni, passionale gestualit?, con una tecnica
teatrale impostata su metodi davvero rivoluzionari.
Ricerca il dinamismo con una varietà di azioni, atteggiamenti
estemporanei, effetti speciali: suoni, voci, luci, musiche, colori,
tempi, costumi, canti, danze e poesie. Teatro nuovo e diverso, ma più
umano, aperto ad ogni realtà multietnica, dalla nordica alla
sardo-salentina e all'afro-asiatica, sognando un mondo senza differenze
o confini, neppure senza soprusi.
"Il teatro - afferma il regista - è il momento della trascendenza,
della libertà assoluta, l'incontro diretto, autentico con l'altro
chiuso e nascosto in noi stessi, ma a noi estraneo e da noi differente.
Non è solo spettacolo: è consapevolezza profonda, è la memoria che vive
nello spettatore, si trasforma, pare scomparire dal ricordo, però
rimane come parte di quel bagaglio di valori che guidano il nostro
comportamento?".
Il teatro, com'è nella sua dottrina teoretica ma non utopica, è una
visione del mondo, è rapportarsi agli altri: apre spazi e sprazzi di
estro, spiritualità , individualismo socializzato, capace di rompere la
maglia di una rete e uniformare il nostro modo di pensare. Come dire
che noi non abbiamo patria e che la nostra sola patria è il teatro, il
mondo degli altri che ci appartiene e ci accoglie, là dove possiamo
incontrare i nostri simili da rappresentare, assegnando a ciascuno un
ruolo, uno spazio vitale, una voce con cui consistere.
Dopo anni di assenza, ha rivisto Gallipoli nel 1973, per proporre agli
Amministratori dell'epoca - di cui per carità di patria si preferisce
non fare i nomi - uno spettacolo teatrale con la compagnia dell'Odin.
Deriso e umiliato, se ne partì amareggiato e furente all'interno del
suo orgoglio ferito; non preferì comportarsi civilmente andandosene in
silenzio e in punta di piedi.
Anzi si congedò dai suoi concittadini bestemmiando con sdegno, senza
pietire nulla ma contestando la protervia e l'offesa e denunciando la
gretta ignoranza. Da allora ha giurato di non farvi più ritorno. Vero è
che la promessa è stata finora mantenuta, se nell'isola della sua
infanzia non vi ha più rimesso piede. Restano di lui rari amici, avendo
egli reciso ogni rapporto con la sua città , che, "ancora immatura
culturalmente" - a suo dire -, non lo ha saputo capire e apprezzare
abbastanza, tanto da snobbarlo a priori fino a chiudergli le porte in
faccia.
Ma, com'è noto e inevitabile, "nemo est propheta in patria"!
Ha partecipato alla Biennale di Venezia (1975) ed ha rappresentato
persino a Lecce e a Carpignano Salentino, dove, accolto con entusiasmo,
ha richiamato Grotoswky e i maggiori interpreti teatrali insieme con
gli esponenti della cultura europea. Scomparso l'unico fratello e
trasferitasi la madre, ormai ultranovantenne, a Roma, Eugenio, schivo e
discreto, rientra in Italia ogni anno a trascorrere l'estate proprio
nella quiete di Carpignano.
È stato insignito del dottorato da varie Università (Varsavia, La
Havana, Montreal, Messico, Copenaghen), ma la più autorevole
onorificenza è la Laurea "Honoris causa" conferita il 6-11-1998 a
Bologna in "Discipline delle arti, della musica e dello Spettacolo" con
la seguente motivazione: "Eugenio Barba è un artista, uno studioso e un
politico del teatro, fondatore di una tradizione del fare teatrale che
da più di trent'anni incarna assieme agli attori dell'Odin Teatret".
Tra gli altri riconoscimenti ricevuti in tutto il mondo si segnalano:
Premio Targa d'argento "L'uomo e il mare" (1985, mai ritirato) per aver
dato lustro a Gallipoli e al Salento con la sua attività teatrale di
livello internazionale; Premio "Internazionale Pirandello" (2000)
assegnato dalla città di Palermo al maggior interprete dell'arte
pirandelliana; Premio "Città di Roma" (teatro Argentina, 2003) al
maggiore rappresentante contemporaneo della storia del teatro. E il
"Premio Barocco"??
Di lui si può dire che non a caso è definito "Genio": un grande
artista, ricco di virtù , estro e sregolatezza, un
autore-attore-regista, che ha girato il mondo per studiare
l'antropologia teatrale sino a inventare e sperimentare in forme del
tutto originali e postmoderne il teatro-laboratorio-spettacolo, la sua
creatura, non del tutto ancora compresa e accettata da certa cultura
antiquata e retrograda, specie alle nostre latitudini.
Oggi non ci resta che studiare la formula più idonea per invitarlo a
Gallipoli, la città che lo ha visto crescere sino alla prima
giovinezza. Non può averla rimossa del tutto dallo scrigno dei ricordi
e degli affetti. Se rammenterà tuttora "lu rùsciu te lu mare", avrà la
forza di gettarsi alle spalle le amarezze passate e stimolare la
nostalgia, forse ancor viva e presente.
Agli attuali Amministratori un intervento conciliante e insieme
riparatore. È ormai tempo per riallacciare i contatti e riprendere le
fila di un discorso infelicemente interrotto. La nostra comunità , di
nulla responsabile, dovrà debitamente onorare il suo concittadino.
Anche Gallipoli, finalmente, potrà conoscere l'Odin Teatret,
apprezzare, ammirare l'arte del suo fondatore e regista ovunque
celebrata. Per la nostra cultura sarebbe un successo autentico, un
evento davvero straordinario. La città ne uscirebbe più ricca per un
figlio mai dimenticato né ci sarebbero parole sufficienti per esprimere
la nostra gratitudine.
Gino Schirosi