Quel giorno la città era in festa: la fanfara diretta dal maestro
Ercole Panico girava per le strade diffondendo note armoniose. Nel
palazzo del Seminario, dove da alcuni anni funzionavano le scuole
tecnico-ginnasiali comunali, nei locali a piano terra, concessi in
comodato dal vescovo Aniceto Ferrante (1873-1879), si inaugurava la
Biblioteca comunale, "il picciol Museo"("Gabinetto zoologico e
mineralogico") e sul terrazzo veniva situato l'Osservatorio
meteorologico. Nello stesso giorno, che coincideva con il compleanno
del re Umberto I di Savoia, si posero due lapidi commemorative sulla
facciata dei palazzi di Giovanni Presta e di Tommaso e Filippo Briganti.
Alla cerimonia, tra gli altri, erano presenti il Prefetto di Lecce, il
Sottoprefetto di Gallipoli Agostino Tiscornia, il Sindaco Michele
Perrin, il Consigliere provinciale Nicola Massa, tutti i rappresentanti
dell'Amministrazione civica, l'Ispettore scolastico Giuseppe De Roma, i
professori Ersilio Bicci, Luigi Forcignanò, Cosimo De Giorgi, Rocco
Mazzarella (fratello di Bonaventura), Luigi De Simone, Luigi Frezza,
Felice Leopizzi e tutti gli insegnanti ed alunni delle scuole
secondarie; la famiglia Briganti era rappresentata da Domenico
Briganti, già sindaco di Gallipoli, e dal fratello Alessandro.
Emanuele Barba, medico, naturalista, poeta, letterato e patriota,
nominato il 27 settembre 1877, dal Consiglio comunale, presieduto dal
Sindaco Michele Perrin, bibliotecario a vita con l'annuo stipendio di
lire 600, tenne il discorso inaugurale durante il quale illustrò le
travagliate vicende della Biblioteca.
Egli così esordì: "Se vi è un giorno di mia vita, nel quale fossi
andato altero di esser nato in questa piccola ma ridente cittaduccia,
egli è questo, o gentili; perché oggi in ciascuno di voi veggo un
rappresentante della civiltà del tempo nostro, perché tutti qui adunati
a celebrare la inaugurazione di un tempietto della Scienza, la quale
fu, è e sarà l'unica dominatrice del mondo".
L'insigne personaggio, autore dello straordinario impulso all'erigenda
istituzione, ricordò i meriti del Canonico Carmine Fontò, "nato di
civil famiglia, educato ai buoni studi, [?] amante del patrio decoro,
della chiesa e della gioventù discente", che, dopo aver ottenuto, con
Real Rescritto del 9 maggio 1823, da Lubiana, il beneplacito del re
Ferdinando I, col suo testamento olografo aveva donato al Comune di
Gallipoli la sua biblioteca di 2800 volumi assegnandole "in Beni Fondi
una dote sufficiente per lo stipendio di un bibliotecario ed un
aggiunto, per compra di nuovi libri e manutenzione dello Stabilimento".
Nel tempo stesso nominava "il Bibliotecario in persona del Rev. D.
Nicola Maria Cataldi", e trasferiva "il diritto di nomina a suoi Eredi
e Successori". Successivamente, con legato del 23 marzo 1825, stipulato
dal notaio Simone Pasca, aveva stabilito di "voler render pubblica la
sua biblioteca per comodo di chiunque v[olesse] profittarne", ed aveva
designato come bibliotecario a vita il canonico Nicola Maria Cataldi al
quale assegnava, per il mantenimento e custodia della stessa,
l'usufrutto di "un comprensorio di case site nell'Isola Brancate" e di
"un podere olivato sito nel territorio di Gallipoli, luogo detto Suri".
Il Cataldi "si obbliga[va] di custodire, e ben tenere la biblioteca nel
luogo designato da esso Signor Fontò [l'abitazione di quest'ultimo],
senza giammai amuovere, e far amuovere dalla stessa alcun libro e di
tener sempre aperta la stessa biblioteca colla sua assistenza personale
per comodo del pubblico nei giorni Lunedì, Mercoledì e Sabato di
ciascuna settimana per tre ore al giorno la mattina, eccettuati li
giorni e li mesi di vacanza, soliti a prendersi dai Colleggi e
Seminarj". "Dappiù esso Signor Decano volendo dare ad esso don Nicola
Cataldi pruove della sua amicizia, con titolo di donazione irrevocabile
tra vivi, dona[va] a beneficio di esso medesimo don Nicola Cataldi
presente, ed accettante l'usufrutto di una possessione olivata sita nel
territorio [di Gallipoli] detto San Salvadore": tale donazione era
fatta "col peso di dover esso don Nicola celebrare e far celebrare
cento Messe in ogni anno durante la sua vita, in suffragio dell'anima
dei suoi genitori [del decano Fontò]".
La donazione del Fontò, che morì il 15 maggio 1825, fu impugnata dai
suoi eredi e tutto l'asse ereditario soggiacque a sequestro. Ebbe
inizio, così, un lungo contenzioso con il Comune di Gallipoli, durato
venti anni, al quale, il 30 giugno 1845, mentre era sindaco Domenico
Briganti, nipote di Filippo, dopo vari gradi di giudizio, la Gran Corte
Civile di Napoli, presidente Cav. Ferdinando Troja, pose fine,
accogliendo "in contumacia di parte [gli eredi del Fontò]
l'appellazione prodotta dal Comune di Gallipoli avverso la sentenza del
Tribunale Civile di Lecce del ventidue agosto mille ottocento
trentadue". Essa revocava quest'ultima sentenza ed ordinava "che gli
eredi del Decano D. Carmine Fontò rilasci[assero] a favore del Comune
di Gallipoli la Biblioteca pubblica che il detto D. Carmine Fontò
[aveva] stabil[ito] in favore del Comune medesimo con l'Istrumento del
ventitre marzo mille ottocento venticinque"; condannava "detti Eredi
alle spese dell'intiero giudizio liquidato in ducati cento sessantasei,
e grana tre", e delegava "il Giudice Regio del Circondario di Gallipoli
per destinare un usciere che intimi la presente alla parte contumace".
Bonaventura Mazzarella, in quel tempo Supplente del Giudicato Regio del
Circondario di Gallipoli, il 4 settembre 1845, per "l'intima della
decisione della Gran Corte Civile di Napoli alle parti contumaci"
domiciliate in Gallipoli, Lecce, Taviano e Soleto, destinò
rispettivamente gli uscieri Giuseppe Quarta, Giacondiano Perrone,
Francesco Leone e Giuseppe Marsili.
La biblioteca del Fontò, privata, per decisione della Gran Corte Civile
di Napoli, del patrimonio dotale che il testatore le aveva assegnato,
venne finalmente nelle mani del Comune.
Durante il lungo contenzioso, per i libri, che erano stati affidati
dall'Amministratore giudiziario all'Amministrazione civica, era già
iniziata la via crucis: essi furono trasferiti da un locale all'altro,
spesso in luoghi angusti e fatiscenti che non impedivano i continui
furti. Dapprima furono depositati in un locale del soppresso Convento
dei Paolotti e successivamente trasferiti in alcuni ripostigli nella
Casa comunale (ex-Pretura, in via A. de Pace) dove erano facile preda
dell'umidità, delle tarme e dei ladri che li prelevavano su commissione
dei bottegai locali. Nel 1844, su sollecitazione dell'Intendente di
Terra d'Otranto, ad essi fu trovata una prima sistemazione in un locale
sito in via Ospedale Vecchio al n° 42, dove, inventariati, furono
sistemati in appositi scaffali.
Dopo la sentenza che dava ragione al Comune, la Biblioteca, ancora per
alcuni anni, rimase chiusa al pubblico in quanto essa era priva di
strutture e suppellettili idonee che, nonostante le continue e
pressanti richieste del canonico Cataldi e l'interessamento del
Sottintendente D'Aulisio, gli amministatori comunali si rifiutavano di
fornire, trincerandosi dietro inconsistenti motivazioni. Il 25 aprile
1858 essa fu trasferita in alcuni locali dell'ex Convento dei
Domenicani dove, finalmente, grazie anche alla solerzia del vice
Bibliotecario, notaio Giovanni Consiglio, che aiutava il vecchio e
malandato D. Nicola Cataldi, iniziò a funzionare decentemente.
Il Consiglio, che subentrò nella direzione al Cataldi, dopo la morte di
quest'ultimo, avvenuta il 16 luglio 1867, diede un ulteriore impulso
all'Istituzione, utilizzando anche i fondi stanziati dal Consiglio
Provinciale a favore delle 4 biblioteche provinciali (Lecce, Brindisi,
Taranto e Gallipoli), istituite nei Comuni della Provincia capoluoghi
di Circondario (essa tornò di fatto Comunale nel 1879). Emanuele Barba,
dopo aver ricordato il Fontò, continuò la sua relazione precisando che,
"soppressi i conventi dei Padri di S. Domenico, dei Frati minori della
Riforma, e dei Cappuccini, benchè la dote dei libri fosse cresciuta
sino a 5608, indarno se ne cercava uno edito dopo il primo quarto del
secolo volgente" e che "i libri aggiuntivi, de' quali 1200 logori dai
tarli, frusti per malo uso, erano quasi tutti d'argomento chiesastico,
espositori biblici e scolastici, sacri oratori ed ascetici, costituenti
tuttora la gran parte fossile di questi scaffali. E da ciò rarissimi i
leggitori".
Ringraziava, poi, il Municipio e il Sindaco Michele Perrin per il fatto
che "quelle migliaia di libri, che per condizion di luogo giacevan
polverose ed abbandonate da tutti, fuorchè dai tarli", si trovavano "a
più facile uso d'ogni maniera di leggenti, e soprattutto degli [?]
insegnanti ed alunni delle scuole secondarie, i quali se li [avevano]
come in propria casa"; informava, inoltre, che "per maggior incitamento
alla lettura ed allo studio, oltre le 600 donate dai benemeriti
cittadini (il 10 novembre 1866 egli aveva donato "cento volumi di
scrittori moderni di sua proprietà"), altre centinaia di opere recenti
in quasi tutte le branche di scienze e di lettere [erano] state
acquistate", e che "pel meglio di tutta la scolaresca [?] s'[era]
iniziato un picciol Museo di cose naturali, a cominciare dai prodotti
del nostro suolo e del nostro mare".
Convinto dell'importante funzione educativa e civile della biblioteca
pubblica, l'illustre relatore, rivolgendosi ai giovani concittadini, si
diceva certo che essi avrebbero "second[ato] con forza e costanza di
volere e di propositi gli sforzi civilissimi del Municipio, il quale
mira[va] a conseguire lo sperato benessere delle famiglie [gallipoline]
e ad accrescere il decoro della città"; e credeva e fortemente sperava
che essi avrebbero impiegato la maggior parte del loro tempo
dedicandosi allo studio nelle sale della Biblioteca dove erano raccolti
"i più mirabili frutti dell'ingegno umano [?], frutti d'inspirazioni
divine, frutti di meditazioni e di studi che segnarono di rughe precoci
le più nobili menti umane, frutti delle più splendide fantasie
dell'universo".
Così, infine, li esortava: "Eccovi in 8000 volumi postivi innanzi il
pane della mente - Cibatevene [?] e meditando su questi volumi, e su
quelli del fior fiore degl'illustri nostri antenati, le cui effigie fa
bella corona a queste sale, voi dovete aspirare a quella gloria, potete
conseguire quell'invidiabile trono [?]. Ma in questo nostro Panteon
municipale, sul culmine di questa nostra gloriosa piramide, eccovi in
Giovanni Presta, in Tommaso e Filippo Briganti, gli astri più fulgenti
del cielo di questa sala - Essi, come aquile sorvolando sugli altri
illustri, han meritato una splendida pagina nella storia della scienza
- Né per mutar di fortuna, di tempi e di opinioni si cancellerà quella
pagina, ch'è nostro vanto ed orgoglio; perocchè la scienza, avendo per
unico obbietto il vero, è democratica di sua natura, e, vincendo lo
spazio, il tempo ed i conati d'ogni tirannide, sospinge con forza
irresistibililmente operosa le umane generazioni al progresso civile ed
economico, ed alla gratitudine verso gli scopritori del vero - E voi
giovani, studiando nei volumi del Presta, che abbatte gli errori dei
metodi di coltivare gli ulivi e di estrarne dal frutto quel liquido,
ch'è massimo nostro tesoro e speranza, scorgerete la cagion vera
dell'odierno progredire in quella branca agronomica, e della gloria
dell'immortale nostro concittadino - Né vi basti -voi nella Pratica
criminale di un Tommaso Briganti scorgerete un giusperito, che fu
l'illustre precursore del Beccaria, e il primo in Italia a
stigmatizzare la legale tortura - e nelle opere del suo degno figlio
Filippo (a proposito il 23 febbraio 2004 ricorre il bicentenario della
sua morte: come intendono commemorarlo l'Amministrazione comunale, la
cittadinanza e le nostre Associazioni culturali?) vedrete un sofo dalla
poetica parola, dallo stile epigrammatico, accapigliarsi col Rousseau
col Mably coll'Hume e confutar con vigor di logica la teoria sociale
del primo, la economica del secondo e la statistica del terzo,
folgorando a quei colossi dell'eloquente sofisma verità sfuggite
affatto alle loro menti sublimi. E se per tali ragioni, la Storia ha
consacrato un posto a quei tre lumi di scienza, era giusto era santo
che Gallipoli su cui riflette tanto bagliore di gloria, significasse ai
venturi la sua gratitudine con un perenne munumento" (negli anni che
seguirono, quanti monumenti la città ha innalzato ai suoi illustri
figli? e quante loro opere ha provveduto a raccogliere e ristampare per
farle conoscere ai giovani?).
E ad Emanuele Barba toccò l'onore di scoprire le lapidi marmoree poste
alle case del Presta e dei Briganti e di dire "poche parole piene di
amor patrio e di lode a quei Benemeriti", che servirono a far intendere
ai presenti che quella festa "non era una convenzionale cerimonia
destinata a sciupio di tempo da chi non sa farne miglior uso, ma che
era invece un debito di riconoscenza che tardi, ma forse non invano, si
pagava alla gloriosa memoria di quegli uomini illustri".
Il prof. Rocco Mazzarella tenne, invece, il discorso inaugurale della
"Stazione Meteorica" situata "alla cima dell'edificio sempre dedicato
agli studi".
L'Osservatorio meteorologico si elevava a m. 25,30 dal livello del mare
e per la sua erezione avevano collaborato il prof. Cosimo De Giorgi,
fondatore di quello di Lecce, ed i proff. Frezza e Leopizzi,
incoraggiati dal famoso astronomo Padre Denza, direttore
dell'Osservatorio di Moncalieri. Furono sistemati il pluviometro,
donato dal Governo, l'anemoscopio costruito dal Municipio, gli
apparecchi per l'analisi dell'acqua e per l'ozonometria, lo psicometro,
i termometri registratori del massimo e del minimo di temperatura, il
barometro.
Grazie ad Emanuele Barba la Biblioteca comunale, "vera farmacia moralle
nella quale ad ogni bisogno è pronto un rimedio", era nata a nuova
vita: essa assumeva "una funzione educativa e civile per un progetto di
formazione collettiva organica alla rinascenza politica, democratica,
morale della piccola come della grande patria". Egli l'aveva arricchita
"delle opere intere dei grandi educatori politici" come il Gioberti, il
Cavour, il D'Azeglio, il Cattaneo, il Ferrari, il Guerrazzi, il
Mazzini, "convinto che la novella generazione degli studiosi [era]
vincolata dal doppio obbligo di coltivarne con intellletto di verità le
dottrine, e di seguire con intelletto d'amore l'esempio delle loro
virtù".
La stampa locale e nazionale diede ampia eco all'avvenimento: su Il
Risorgimento di Lecce, Il Propugnatore di Lecce, Lo Studente Magliese,
Il Municipio di Napoli, La Donna di Bologna, espressero giudizi
lusinghieri ed attestati di riconoscenza, nei riguardi della benemerita
istituzione e del suo direttore, personalità e giornalisti come Cosimo
De Giorgi, Gioacchino Stampacchia, Cesare Miglietta, il medico Giuseppe
Ria, Linda Maddalozzo.
E dopo? Nel periodo in cui essa fu diligentemente gestita da Emanuele
Barba fino alla sua morte, avvenuta il 7 dicembre 1887, la sua
esistenza fu agitata dalle puerili ed insistenti bizze dell'illiberale
ed intransigente vescovo Enrico Carfagnini (1880-1898), che
"insensibile alle ragioni della cultura e della scienza", rifiutava il
rinnovo del contratto di comodato dei locali del Seminario. Dopo
numerosi tentativi di accomodamento e continui rinvii, nel 1896,
l'Amministrazione comunale fu costretta a cederli e ad affastellare in
un angusto deposito, nello stesso Seminario, il patrimonio
bibliografico ed i reperti del Museo, la maggior parte dei quali erano
stati donati dal Barba, anche questa volta alla mercè dei ladri che
compirono "un vero e proprio massacro scientifico letterario".
Occorrerà attendere il 14 marzo 1899 quando, grazie all'interessamento
dei Sindaci Simone Pasca Raymondo e Giovanni Ravenna, la Biblioteca ed
il Museo furono sistemati nel nuovo edificio in via A. de Pace,
costruito con le somme del Comune, della Provincia e con quelle
ricavate (lire ottomila) dalla vendita al Vescovo di Gallipoli del
Monastero delle Teresiane.
Dopo "il riordinamento della gran massa degli 8000 volumi", ad opera
del nuovo Bibliotecario ad honorem, Ernesto Barba (morì suicida il 22
ottobre 1902), figlio di Emanuele, essa fu riaperta al pubblico: la
Giunta municipale, il 10 marzo 1899, ne aveva approvato il regolamento
(Art. 1°. La Biblioteca ed il Museo dovranno essere aperti al Pubblico
in tutti i giorni dell'anno, meno quelli di Capodanno, Natale e Pasqua,
dalle ore nove ant.m. alle ore 12 e dalle 2 pom. alle 4. Nei giorni
festivi non si aprono i locali nelle ore pomeridiane (omissis). Art. 2.
La direzione della Biblioteca e del Museo saranno affidate ad un
Bibliotecario nominato dal Consiglio Comunale, che verrà coadiuvato da
un assistente [?].).
Per tutto il secolo XX, essa, priva di strutture e personale
sufficiente e qualificato, ha vivacchiato, tra l'insensibilità degli
Amministratori comunali, il disinteresse della cittadinanza e degli
operatori culturali locali, fatte rarissime eccezioni.
Teodoro Pellegrino, direttore della Biblioteca Provinciale di Lecce,
nel maggio 1957 scriveva che "per oltre 55 anni dalla riapertura e
dalla nuova sistemazione, la biblioteca comunale di Gallipoli tirò
avanti alla men peggio, ma non ebbe decisivi sviluppi, malgrado le cure
del nuovo direttore, [?], avv. Bonaventura [don Ninu] Mazzarella ";
aggiungeva, poi, che le sue condizioni erano "tristissime", e che da
diversi anni era chiusa al pubblico "in uno stato di vero abbandono".
L'Annuario delle Biblioteche Italiane, edito nel 1956, riportava la
consistenza del patrimonio librario della Biblioteca comunale: 6600
volumi ed opuscoli sciolti, 42 incunaboli, 47 manosctitti: secondo
questi dati in 70 anni si erano perduti circa 1400 libri.
Nel 1965, Giulio Del Pozzo, segretario comunale di Gallipoli, accertò
l'esistenza di 10.500 volumi, di 8 incunaboli, di circa 100
cinquecentine, di 55 manoscritti con un inventario generale in ordine
alfabetico di autori; egli scriveva che non esisteva "un inventario per
materia e qualsiasi schedario e catalogo generale: grave lacuna che
rende[va] difficilissima la scelta dei libri, a meno che non si
conosc[essero] gli autori desiderati."
Dopo quasi 15 anni nulla era cambiato se, nel febbraio del 1979, Elio
Pindinelli così scriveva "Oggi, nonostante una dotazione di oltre
12.000 volumi, raccolti in moderni scaffali metallici, e ben 4
inventari negli ultimi 5 anni, la Comunale di Gallipoli si presenta
purtroppo in un totale stato di abbandono, con schedatura
insufficiente, poco curata e di difficilissima consultazione, e con
migliaia di volumi, anche di pregio, irrimediabilmente infestati dalle
tarme". Affermava, poi, che ufficialmente esistevano, "collocati in un
apposito armadio 10 incunabili", e che egli ne aveva rintracciati altri
11, "alcuni dei quali purtroppo in condizioni disastrose", tra i libri
della ex biblioteca dei Francescani. Un "paleotipo" del 1468 (Summa
Silvestrine, pars secunda, Roma) era, invece, risultato introvabile ed
a tal proposito il Pindinelli così continuava: "A questo punto,
conoscendo le tristi vicende della Comunale di Gallipoli, sono certo
che quel prezioso 'paleotipo' ha preso la via di centinaia e centinaia
di volumi disgraziatamente trafugati negli anni '50, quando (e sono in
molti a ricordarlo) la chiave del portone d'ingresso della biblioteca
passava nelle mani di gente che qualificata 'colta', non ha avuto
scrupoli nel saccheggiare in pochi anni una delle più importanti
istituzioni culturali salentine". Il saccheggio continuerà anche dopo
tra l'indifferenza dei responsabili comunali.
Ancora giuste doglianze da parte di Luigi Carlo Fontana che, nel giugno
1982, stigmatizzava l'insufficienza del personale "per una normale
funzionalità" sia della Biblioteca che del Museo, e suggeriva
all'autorità civica di affidare l'incarico di direttore della
Biblioteca, scindendolo da quello per il Museo, "ad un bibliotecario
specializzato a conoscenza dei problemi di biblioteconomia e
bibliografia", e di evitare inacarichi direttivi onorari, che si erano
rivelati ed in seguito, purtroppo, si riveleranno poco producenti o
qualche volta infausti.
Alla metà degli anni Novanta, con un suo pregevole lavoro sulla
Biblioteca comunale di Gallipoli, Gino Pisanò, giustamente preoccupato
per le infelici condizioni dell'istituzione, cercava di sensibilizzare
"quanti [ne avevano] a cuore le sorti" a provvedere "alla sua
'rifondazione', prima che le tarme, già pingui, completino il loro
lavoro di infestazione".
Le doglianze, le sollecitazioni di questi pochi sono state inutili,
poiche esse si sono scontrate con l'insensibilità, l'indifferenza, il
cinismo e la protervia degli Amministratori della cosa pubblica che da
svariati anni hanno retto e reggono le sorti della città. La biblioteca
ha seguito il destino della decadenza economica, culturale e morale
della città tra il disinteresse dei cittadini, fatta eccezione per
poche voci isolate che però non hanno sortito alcun risultato.
La Biblioteca, trasferita nel 1987 da via A. de Pace in via S. Angelo,
nei locali al primo piano dell'ex Oratorio dei Nobili Patrizi, ha
continuato ad essere fino ad oggi assieme all'Archivio storico, che
occupa la chiesetta di S. Angelo, al piano terra, in uno stato di
abbandono e degrado (in una non migliore situazione si trova la
Biblioteca e l'Archivio storico della Curia vescovile, anch'essi
saccheggiati durante gli anni: già nel lontano 1982 il Bibliotecario,
sac. Vittorio Gino Piccinno, esortava, inutilmente, le Autorità
religiose che "venisse istituita una sede idonea, funzionale, capace di
conservare e mettere a disposizione degli studiosi le opere
conservate): è da anni che non si comprano libri e riviste e quelli in
dotazione compresi gli incunaboli, i manoscritti e le cinquecentine
sono preda dell'umidità e delle tarme (peggiore sorte soffrono i
preziosi documenti dell'Archivio storico, al piano terra, utilizzato
come deposito, e difficilmente accessibile per la consultazione).
Essa non dispone di un regolamento, di un direttore e di personale
sufficiente e qualificato e spesso è chiusa al pubblico. Difficile è la
consultazione dei testi in quanto è provvista solo di un vecchio
schedario cartaceo per autori non aggiornato e delle schede degli
incunaboli e dei manoscritti; costosa l'estrazione di fotocopie; non
funzionante l'impianto di climatizzazione, installato alcuni anni fa,
che se riparato potrebbe offrire sollievo non solo al patrimonio
bibliografico ma anche ai rari utenti; scarse e poco funzionali le
suppellettili nell'unica scrostata sala di lettura, il più delle volte
privata della funzione a cui è deputata per essere utilizzata per la
celebrazione di matrimoni, per conferenze e riunioni sindacali con
l'immediata ed educata espulsione degli utenti.
Da tutto ciò si possono individuare le numerose barriere che si sono
frapposte e continuano a frapporsi tra l'utente e l'informazione ed è
strano che per anni non si siano mai levate da parte degli operatori
scolastici, degli studenti, dalle Associazioni culturali locali, che
dovrebbero essere i principali fruitori del patrimonio biblografico,
voci di protesta contro questo increscioso stato di cose.
Il 19 olttobre 2001 la Cooperativa Arckeion di Lecce ha terminato la
reinventariazione del patrimonio librario antico (pubblicazioni
monografiche stampate prima del 1801) dislocato nelle strutture del
Museo-Biblioteca in via A. de Pace e in quelle della Biblioteca in via
S. Angelo, censendo 10.551 volumi. Ha effettuato, inoltre, la verifica
degli inventari (albo delle donazioni, registri d'ingresso, elenchi
manoscritti esistenti nella Biblioteca in via S. Angelo), rilevando che
risultano mancanti 238 volumi segnati sui registri d'ingresso e 500
segnati sull'albo delle donazioni; ha attuato la ricognizione storica
delle collezioni librarie antiche con la selezione dei testi antichi da
quelli moderni del Museo-Biblioteca, schedando 1000 volumi appartenenti
alle collezioni storiche. Infine ha provveduto all'analisi dello stato
di conservazione dei volumi danneggiati, fornendo le opportune
indicazioni relative alla collocazione del patrimonio librario.
Questo pregevole lavoro, però, non avrà alcuna utilità se rimarrà
isolato o abbandonato in qualche cassetto (e già successo negli anni
passati per altri lavori) e se ad esso non faranno seguito altre
iniziative intese a fornire un completo e definitivo inventario del
patrimonio bibliografico che si presterà ad una moderna
informatizzazione solo dopo che si procederà a formulare una esatta
valutazione della reale situazione in cui versa la biblioteca,
effettuando una seria verifica del suo stato di salute generale e dei
suoi servizi (locali adatti, scaffali, stato di salute di tutto
patrimonio bibliografico, risorse finanziarie, personale
professionalmente aggiornato ecc.).
Marguerite Yourcenar ha scritto in un suo libro che: "costruire un
porto significa fecondare la bellezza del golfo, mentre imprimere la
vita alle biblioteche e farle funzionare, nel tessuto della società
umana, equivale a costruire i granai pubblici, ammassare riserve contro
un eventuale inverno dello spirito, che potrebbe, da un momento
all'altro bussare alla nostra porta".
La libertà, il benessere e lo sviluppo della società e degli individui
sono valori umani fondamentali. Essi potranno essere raggiunti solo
attraverso la capacità di cittadini ben informati di esercitare i loro
diritti democratici e di giocare un ruolo attivo nella società. La
partecipazione costruttiva e lo sviluippo della democrazia dipendono da
un'istruzione soddisfacente, così come da un accesso libero e senza
limitazioni alla conoscenza, al pensiero, alla cultura e
all'informazione.
I nostri governanti comunali dovrebbero meditare su ciò e sapere,
inoltre, che il vero progresso di una città è quello dell'intelligenza
e non soltanto quello materiale; che la biblioteca opera per la cultura
e per l'uomo al quale fornisce "il pane della mente", presentandosi
"come luogo privilegiato di incontro e confronto, come oasi di pace
dove poter penetrare il pensiero proprio e quello altrui alla ricerca
dell'umano"; che esiste uno strettissimo legame tra crescita culturale
e biblioteca in un rapporto di interdipendenza senza sosta, che ha il
suo fulcro nell'uomo stesso e nella natura della sua creatività; che
per incontrare la biblioteca nella sua pienezza e coglierla nelle sue
più diverse articolazioni, per poterla servire in modo efficace,
occorre percepire, con l'occhio della mente e del cuore, la sua
concreta posizione nel mondo degli uomini, la sua specifica funzione ed
il suo reale valore; ed infine che essa è un organismo dinamicamente
proteso verso la comunità, vivo ed utile nella misura in cui adempie i
compiti ad esso devoluti, e che quando non è strutturata come un
servizio alla comunità, nel cui seno è sorta ed opera, può facilmente
diventare uno strumento completamente inutile.
Solo se gli amministratori comunali faranno proprie queste indicazioni,
gran parte delle quali sono sancite nel Manifesto UNESCO sulle
biblioteche pubbliche del 1995, potrà essere raggiunto l'importante
obiettivo della biblioteca pubblica "come forza vitale per
l'istruzione, la cultura e l'informazione e come agente indispensabile
per promuovere la pace e il benessere spirituale delle menti di uomini
e donne".
Federico Natali