Il ruolo delle donne nella civiltà messapica

Nel libro I leoni di Messapia (Romanzo storico), di Fernando Sammarco, vi sono non pochi riferimenti al mondo delle donne messapiche del V-IV secolo a. C.
Essenzialmente, per scrivere questo libro, l'autore si è basato su autentiche fonti archeologiche e su studi messapografici originali, ma anche su elementi puramente letterari, cioè romanzati, che nulla hanno a che vedere con la realtà. Di conseguenza, anche le considerazioni da me fatte in questo contesto sono di carattere puramente indicativo, non attestando perciò alcuna pretesa di scientificità. Ciononostante, non mi dispiace affermare che esse sono anche il frutto di studi e riflessioni su quanto di archeologico e di studi messapografici siano stati fatti finora.
Nel suo romanzo, Sammarco indica quali erano le più importanti città messapiche di 2500 anni fa, e cioè: Alytia (Alezio), Aoxentum (Ugento), Brention/Brentesion (Brindisi), Hyretum/Veretum (Vereto), Hodrum/Idruntum (Otranto), Kaìlia (Ceglie Messapica), Manduria, Mesania (Mesagne), Neriton (Nardò), Orra (Oria), Sybar (Cavallino), Thuria Sallentina (Roca).
Si tratta -com'è evidente- di dodici città che formavano la famosa Dodecapoli. Strabone1 però, nei suoi libri, ha scritto non di dodici ma di tredici città messapiche importati.
Quindi, della Lega Messapica non facevano parte altre importanti polis, fra cui: Anxa (Gallipoli che -forse- a quel tempo, considerando il grande scoglio su cui oggi è edificata la moderna città, si trattava della seconda più grande isola delle Cheradi -isole citate da Tucidite nel libro La guerra del Peloponneso); Baurota (Parabita, nel Neolitico importante centro per le sue cave di pietra, ubicate sulla collina oggi denominata Sant'Eleuterio); Baxta (Vaste), Carbina (Carovigno), Dizos (Diso), Fratuèntum (Muro Leccese), Kàlatas (Galatina/Galatone), Leuka (Leuca), Portus Sasyne (Porto Cesareo, che a quel tempo -forse- oltre che essere un luogo di culto -vedi Cala di Furno-, svolgeva anche le funsioni di attracco naturale dell'allora potente Neriton), Rhudia (Lecce), Sallentia (Soleto), Stu (Ostuni).
Nello stesso libro di Sammarco sono stati messi in evidenza anche alcuni nomi di donne messapiche che, a detta dell'autore, sono nomi «autentici (che) corrispondono meticolosamente ai luoghi e alle aree d'appartenenza, così come rilevato dai grandi studiosi del passato» (cfr. p. 13). I nomi femminili sono: Ettis, principessa di Manduria; Brizidia, principessa di Alytia (Alezio); Nedina, principessa di Mesania (Mesagne); Sifika, principessa di Rhudia (Lecce); Zaira, regina di Hodrum (Otranto); Agra, principessa di Sybar (Cavallino); Krina, principessa di Aoxentum (Ugento); Apaogrebis, principessa di Kàlatas (Galatina); Èsside, reggente di Neriton (Nardò); Olla, principessa della stessa Neriton. 

Una buona parte di questi nomi è stata già accertata, come pure è stato accertato il nome di un'altra donna, tale Dasoma, che il prof. Cosimo Pagliara, archeologo dell'Università di Lecce, ha individuato e decifrato tra le tante dedicatorie messapiche della "Grotta della Poesia (Posia)", a Roca Li Posti (Marina di Melendugno), grazie al ripetersi dello stesso nome in tre lingue (messapico, greco, latino).
Nel Museo provinciale "Sigismondo Castromediano" di Lecce è pure conservato un altare in pietra leccese con un'iscrizione messapica con lettere dell'alfabeto greco, risalente al IV secolo a. C., le cui prime due parole sono state interpretate come un doppio nome femminile, corrispendenti a Occhovas Noha.
È possibile sospettare pure che un altro nome femminile in lingua messapica, usato in quell'epoca, sia potuto essere quello corrispondente a Thana, molto vicino allo stesso nome della divinità greca e magnogreca Athena.
Nel suo romanzo, Fernando Sammarco ha scritto dell'accoglienza che il capo messapico Arthas, in quel momento governante della polis di Alytia (Alezio), diede nel 415 a. C. alla flotta ateniese, comandata da Demostene, il quale fece effettivamente scalo nel porto di Anxa (Gallipoli). E, successivamente, nell'altro e conclusivo capitolo, Il convivio di Alytia, egli descrive come Messapi ed Ateniesi banchettassero allo stesso tavolo con uomini e donne che si scambiavano pareri e considerazioni sul futuro e sulle virtù dei popoli.
Questa libertà di costumi e questa apertura mentale dei messapi rappresenta una bella novità per i comandanti ateniesi, in particolare per il leggendario Alcibiade, discepolo di Socrate, che non conosceva posto al mondo dove una donna potesse stare seduta ad un banchetto assieme a degli uomini.
Tucidide così riporta quell'evento: «Intanto Demostene, ed Eurimedonte, quando il corpo di spedizione fu completo, salparono, uno da Corcira (l'odierna Corfù), l'altro dal continente e con tutte le forze al completo attraversarono lo Ionio e giunsero al promontorio Japigio; quindi, partiti di là, approdarono alle isole Cheradi, che appartengono alla Japigia. Imbarcato un piccolo contingente di lanciatori di giavellotti Japigi, 150 in tutto, di stirpe Messapica, e rinnovato un antico patto di alleanza che li legava a un certo Arta, un capo potente che aveva loro fornito pure i lanciatori di cui sopra, giunsero a Metaponto, città dell'Italia» (Cfr. Tucidide, La guerra del Peloponneso, nella traduzione di Luigi Annibaletto, vol. 2, Oscar Mondadori, 1976, pp.176-177).
Questo passo di Tucidide è uno fra i più importanti riferimenti classici di cui oggi noi disponiamo, che ci informa dell'avvenuto incontro tra Ateniesi e Messapi. Interessante soprattutto per l'espressione -«un certo Arta»-, che lascia supporre una chiara sottovalutazione del leggendario capo messapico. Comunque, lo stesso Tucidite non ci dice nulla dei costumi e degli usi dei Messapi. Sammarco quindi sembrerebbe esserselo inventato quell'atteggiamento "liberale" delle donne messapiche nel citato capitolo Il convivio di Alytia.

Maurizio Nocera (continua)