I fatti e le interpretazioni oltre le categorie della politica
Sul finire dell'anno appena trascorso, con il viaggio in Israele
Gianfranco Fini ha certamente concluso un percorso che era iniziato al
congresso di Fiuggi.
Come era prevedibile, nei giorni successivi alla visita si è sviluppato
un fuoco di proteste e di polemiche. Ma quel fuoco si è spento
immediatamente.
La fiamma che è nel simbolo di A.N. può ardere ancora nel cuore dei
suoi militanti, ma nella loro mente si era spenta già da tempo.
Al di là delle posizioni di principio più importante è analizzare i
fatti, ed essi ci dicono che la pratica politica dei ministri di A.N.
appare perfettamente omologata al complesso della compagine
governativa. I comportamenti di Fini, Gasparri e degli altri ministri
di A.N. non differiscono in niente da quelli di Forza Italia o
dell'U.D.C.. Né il presidente della Regione Lazio, Storace,
nell'attività del governo quotidiano assume atteggiamenti diversi
rispetto a quelli di altri suoi colleghi.
Se la finta ribellione dei nostalgici era prevedibile, altrettanto
scontata è l'indifferenza con la quale l'opinione pubblica ha recepito
la svolta. I fatti raccontavano già da tempo che la politica di A.N.
era perfettamente assimilata entro la cornice di una democrazia
occidentale.
Del resto l'opinione pubblica si era misurata con quella che possiamo
definire la prima delle svolte. E cioè il passaggio dal P.C.I. al
P.D.S..
Quella del P.C.I. fu più ampia e drammatica perché più ampia era la
distanza tra comunismo e capitalismo.
Se le resistenze al congresso di Rimini hanno prodotto effetti più
evidenti, con la nascita di un Partito ancora comunista, è perché il
marxismo si era presentato sulla scena del mondo come apparato
concettuale e ideologico antagonista rispetto a quello dominante.
Ma il segno della sconfitta del comunismo, paradossalmente sta scritto
dentro il nome del Partito comunista superstite. Non semplicemente,
Partito comunista, ma Partito della rifondazione comunista. Il
riconoscimento, cioè, che se il comunismo può continuare a
sopravvivere, deve rifondarsi, deve essere altro rispetto a ciò che
era. Essere altro, per il comunismo, significa non essere più comunismo.
La lettura che di solito si dà, di questi eventi, che hanno
caratterizzato la storia d'Italia di questi ultimi anni, resta ancorata
alla politica e viene analizzata con quelle categorie. E' per questo
che, a mio avviso, la comprensione di ciò che è avvenuto è solo
parziale.
Non si può comprendere la politica restandone dentro l'orizzonte.
La prova sta nel fatto che l'interpretazione delle svolte succitate
sembra già chiara se visionata con quelle lenti, ovvero come il
prevalere di una ideologia politica rispetto ad altre.
Quella che sembra essere la più certa e vera è, hegelianamente,
l'interpretazione più povera e striminzita.
Il riferimento al grande pensatore tedesco, dice già che si dovrà fare
ricorso alla filosofia per una comprensione più chiara. Niente paura,
si può parlare in termini filosofici senza essere oscuri.
Parlando di svolte resta ancora da precisare il senso di quella della
D.C.. Le categorie della politica si sono sbarazzate in maniera
frettolosa e banale del compito di interpretare la scomparsa della D.C..
Tutto è stato spiegato come risultato dell'azione giudiziaria. Sarebbe
bastata la spallata di Mani Pulite per distruggere un partito logorato
da troppi scandali. Una sorta di implosione per un Partito ormai
scarico di ogni energia morale.
La teoria politica interpreta in maniera contraddittoria ciò che è
accaduto.
Da un lato comunisti e neo-fascisti sconfitti sul piano storico: ma il vincitore dove sta?
Non doveva essere quella D.C. nemica storica di entrambi, Partito
saldamente ancorato alla tradizione capitalistica e democratica
dell'occidente?
La D.C. che ha governato l'Italia per oltre un cinquantennio scompare,
invece, con una rapidità ancora più sorprendente rispetto a chi ha
svolto un ruolo di opposizione e quindi di minoranza.
Arrivati qui possiamo già cogliere un primo dato. In queste svolte
della politica scompaiono le differenze e sembrano affiorare
sorprendenti fattori comuni.
Intanto i vecchi Partiti escono di scena e poi rinascono con nomi nuovi.
Nel P.D.S., poi D.S. viene meno ogni riferimento al comunismo.
Il vecchio M.S.I. che dà luogo ad A.N., approda a posizioni a-fasciste,
e quindi anti-fasciste, in maniera quasi parossistica (il fascismo come
male assoluto).
Ma la sorpresa più vera è quella della D.C.. Non solo non risulta il
Partito che vince sul piano storico, ma è costretto a "rinascere" così
come hanno fatto i Partiti sconfitti. Cambiando pelle e cambiando nome.
Dall'eredità democristiana nascono l'U.D.C. e il P.P.I..
Il quadro a questo punto comincia a delinearsi con maggiore chiarezza. Riassumiamolo.
Scompare il P.C.I. e con esso ogni riferimento al Comunismo.
Scompare il M.S.I. e con esso ogni riferimento al Fascismo.
Scompare la D.C. e nelle filiazioni ogni riferimento al Cristianesimo.
Come leggiamo questi dati? La tentazione maggiore è stata quella di
affermare che la politica si è laicizzata. Quindi non ci sarebbero né
vincitori né vinti, ma solo una laicizzazione della politica che
imporrebbe a tutti di cambiare pelle.
A rafforzare questa tesi la nascita di un Partito come Forza Italia che
appare quanto di più neutro si possa immaginare. Ma cosa vuol dire
processo di laicizzazione? Il termine ha un significato generico.
Intanto questi nuovi Partiti, D.S., A.N., U.D.C., P.P.I, nella loro
denominazione appaiono privi "di cornici" ideologiche. Ma l'ideologia,
intesa in senso positivo, ossia come patrimonio culturale e ideale
condiviso non può scomparire. Basta la ovvia constatazione che ogni
Partito ad ogni scadenza congressuale approva un programma.
Quei Partiti ora si definiscono solo in base a quei programmi e "non
anche" per il riferimento a Comunismo, Fascismo, Cristianesimo. Quelle
cornici non esistono più. Quindi quei Partiti differiscono solo nei
programmi e non nella "cornice".
E' per questo che i partiti hanno una libertà d'azione più ampia e
assistiamo continuamente a "sconfinamenti ideologici".
Sulle privatizzazioni, sulla riforma del mercato del lavoro, sulla
scuola, sulle pensioni, le carte si sono mescolate già in diverse
occasioni.
Caduta delle ideologie significa, quindi, che viviamo in un mondo de-ideologgizzato? Assolutamente no.
La crisi degli apparati ideologici nel mondo occidentale ci dice che si è preso atto di una sconfitta.
Ma chi ha vinto non ha bandiere, non ha vessilli.
L'ideologia vincente, l'unica grande "cornice" che adesso incornicia il
tutto non celebra congressi. E in verità dominava il mondo senza
nemmeno costituirsi come ideologia.
E' la razionalità tecnico-scientifica che oggi "comprende" ogni cosa.
Forma, senza forma, delle forme.
Reso esplicito questo concetto suona così. La tecnica (Forma) appare di
per sé neutra (senza forma) rispetto agli apparati ideologici (forme).
La tecnica appare di per sé neutra rispetto agli apparati concettuali
che si sono opposti l'un l'altro e si sono combattuti nel corso della
storia. Ogni ideologia ha preteso di usare a questo scopo la tecnica.
Ma, come osserva il filosofo Emanuele Severino "Trasformata da mezzo in
fine, la tecnica ha conquistato il dominio sul mondo contemporaneo".
Solo dentro il dominio della tecnica possiamo interpretare il
"tramonto" delle ideologie e quindi il senso di quelle "svolte" in
politica.
Anche se, il dominio della tecnica è a sua volta la manifestazione di
un Pensiero che emerge da un tempo più remoto. Ma questo è già un altro
discorso.
.