Lungo i sentieri dello Spirito, l'insolito "pellegrinaggio" di un laico.
Ero stato altre volte in oriente, ma ora vale proprio la pena di tornarvi.
C'è la possibilità di partecipare ad un viaggio che prevede il
soggiorno in un monastero buddista, e vivere le loro esperienze
quotidiane; dai pasti presi in comune, agli esercizi di meditazione.
L'agenzia di Roma, un'agenzia specializzata, fa notare che il viaggio è riservato a persone veramente motivate e interessate.
Non so cosa intendano per motivazione, ma l'interesse di sicuro non manca.
A Roma, in aeroporto incontro gli altri compagni di viaggio, in
maggioranza sono donne, l'unico maschio è un ingegnere, persona
simpaticissima che forse per compensazione è interessato ad ogni sorta
di esoterismo, dalla magia alla diagnosi con il pendolo. L'età delle
donne varia dai venticinque ai cinquant'anni e le professioni sono le
più diverse, dalla cameriera alla manager alla psicologa. In tutto
siamo nove.
Il viaggio è lungo ma non mi annoio, faccio conoscenza con i compagni
fra i quali mi colpisce la silenziosità e l'estrema riservatezza di una.
Arrivati a Kathmandù troviamo ad attenderci un monaco di origine italiana, che vive in quei luoghi da trent'anni.
Ci accoglie con un largo sorriso e ci dà il benvenuto, sarà la nostra
guida per tutta la durata del viaggio.
La capitale nepalese offre un misto di sensazioni che questa volta mi
limito a registrare. Eh si, perché in un precedente viaggio in India mi
ero avventurato, da buon occidentale, in una disamina critica di tutto
ciò che osservavo, ricavandone soltanto una grande confusione. C'è il
traffico caotico di tutte le capitali del terzo mondo, dato soprattutto
dalla precaria viabilità che non dal numero delle automobili.
Infatti basta uscire dalla strada principale per trovare il silenzio. E
proprio lungo uno di questi tragitti arrivo in una piccola piazza, dove
avviene il primo incontro interessante. Seduti ai piedi di un tempietto
due Guru.
L'aspetto colpisce subito, sulla testa hanno
attorcigliata una chioma che si alza per almeno venti centimetri e
forse più. Sono così particolari che vorrei fotografarli, ma esito e mi
limito a sorridere. Con un largo gesto della mano uno mi invita ad
avvicinarmi. Non fanno domande, non vogliono sapere chi sono e da dove
vengo, mi fanno capire che posso fotografarli. Faccio parecchi scatti,
e mentre sto lì a guardarli, di nuovo mi fanno cenno di avvicinarmi.
Il
più anziano dei due mi prende dalle mani la macchinetta e
contemporaneamente fa cenno ad un passante di avvicinarsi.
Hanno intuito il mio desiderio di una foto in mezzo a loro due. Sempre
il più anziano scioglie e srotola quella specie di baldacchino che ha
sulla testa: una chioma lunga almeno un metro e mezzo.
Me l'avvolge attorno al collo e ride di gusto osservando la mia sorpresa e l'imbarazzo.
Li ringrazio di cuore e nel salutarli lascio una piccola offerta che loro accettano con profonda gratitudine.
Prima del ritiro in monastero sono previsti incontri, con domande e
risposte, con alcuni maestri spirituali. Stefano, così si chiama il
monaco-accompagnatore, con linguaggio cauto e quasi misterioso ci dice
che bisogna prepararsi spiritualmente.
Secondo lui il nostro karma, che sicuramente è pesante, si scontra con
quello di questi santi in terra, per cui possono verificarsi strani
eventi durante il tragitto.
Dentro di me affiora una punta di scetticismo, ma poi ricordo a me
stesso la promessa di non giudicare e stare invece ad osservare.
Di buon mattino partiamo in pulmino per uno di questi incontri. Siamo
tutti un po' emozionati, si tratta nientemeno che dell'incontro con
Lama Chob, un vegliardo di ottant'anni che è stato l'ultimo maestro del
Dalai Lama.
Siamo in viaggio da un quarto d'ora, quando d'improvviso un urlo. Dal
fondo del pulmino si fionda sull'autista proprio la manager. Lo riempie
di grida e di insulti che quello per fortuna non capisce, e infatti si
limita ad accostare. Tra tutte le parole sconnesse riusciamo a capire
che secondo lei la velocità è troppo alta e si rischia di morire. Ci
guardiamo in faccia l'un l'altro; anche volendo, con il traffico
caotico e la vetusta età del mezzo la velocità non può essere superiore
a cinquanta chilometri. Continuando a imprecare scende e ci manda tutti
a quel paese.
Stefano, che è seduto davanti, si volta e guarda tutti con un sorriso
rassicurante. Non lo dice, ma ci vuole comunicare che va tutto bene: è
solo una questione di karma. La ragazza che è seduta al mio fianco, una
musicista di Pistoia, mi fa notare la pelle d'oca sulle braccia.
Lama Chob ci riceve in una bella sala che emana un'atmosfera molto
calda, tappeti e cuscini dappertutto, alle pareti le foto che lo
ritraggono con il Dalai Lama e con altri personaggi importanti, tra cui
il re e la regina.
Domande e risposte si susseguono per circa un'ora, poi i monaci, che
per tutto il tempo lo hanno amorevolmente assistito, ci dicono che
l'incontro è terminato.
All'uscita siamo stranamente silenziosi, ma noto che sulla bocca di
tutti è fiorito un sorriso, forse il regalo di quel santo uomo. Per
tutta la durata dell'incontro egli ci aveva sorriso con una luminosità
che ancora oggi, a distanza di anni, nel mio ricordo non si è sbiadita.
Nei giorni successivi seguono altri incontri interessanti, fra cui un
monaco che ha meditato in perfetta solitudine alle pendici
dell'Himalaya per lunghissimo tempo, e un bambino di dieci anni, un
'piccolo Buddha', una delle settecento reincarnazioni tibetane.
Di uno però voglio parlare, e non per questioni di dottrina, ma per la
situazione che si crea durante quell'incontro, che all'inizio mi appare
comica, ma poi…
Si tratta di Lama Drub, un monaco che vive fuori dal convento e che ha
l'incarico di assistere i morenti per accompagnarli nel mondo
dell'aldilà, in dimensioni diverse, così ci spiega Stefano, prima della
reincarnazione. E' un uomo minuto e mite, tutto in lui ci parla di
semplicità, lo sguardo, il gesto, il sorriso.
Ci riceve in una piccola casa di legno a due piani alla periferia di Kathmandù.
Come al solito il nostro monaco-accompagnatore fa da interprete;
l'attenzione è subito totale trattandosi di questioni complesse e
misteriose.
Il meno coinvolto, devo dire, sono io, non perché scettico, ma perché
convinto che il mistero non va mai analizzato, ma semplicemente vissuto.
La mia 'distrazione' tuttavia mi consente di osservare una scena
gustosissima. Oltre al nostro gruppo ci sono altri 'ospiti', due
topolini che per tutto il tempo attraversano in lungo e largo la
piccola stanza. E non si limitano a trotterellare lungo le pareti;
forse perché abituati si arrampicano con le loro zampette sulle nostre
gambe, donne comprese.
Mi aspetto che da un momento all'altro qualcuna si metta ad urlare, invece niente.
Il colloquio si protrae più del previsto, sempre nella massima
attenzione, tant'è che ormai è scesa la sera. Alla fine ci congediamo
da Lama Drub con grande affetto. La sua semplicità ci ha conquistati
totalmente.
Appena in strada, tra un commento e l'altro, si parla anche dei
topolini e ovviamente a tutti noi sembra un miracolo che nessuna abbia
avuto la benché minima reazione.
Mentre aspettiamo i taxi che ci riportino in città, arriva un urlo: ad
un metro di distanza era passato un topo, e questa volta è proprio la
psicologa che ha una reazione istintiva.
Guardo in alto verso la casa del Lama: l'incanto è finito, qui in strada tornano le antiche paure.
Finalmente è arrivato il momento di trasferirsi a Kopan, trenta
chilometri da Kathmandù, per il ritiro in monastero.
La costruzione è ampia e maestosa, situata in quota domina l'immensa
valle. Ci riceve Lama Lhundrup 'specializzato' nell'insegnare
meditazione agli occidentali. Arriviamo al tramonto e dopo aver
depositato i bagagli nelle piccole ma linde stanzette siamo pronti per
la cena. Nella grande sala da pranzo l'atmosfera è serena e carica di
gioia. Ci sono monaci di tutte le età e i più giovani parlano tra di
loro e ridono fragorosamente. Ognuno si serve da solo: Momo, sorta di
ravioli di verdure (deliziosi), insalate e alla fine dell'ottimo tè.
L'indomani, all'alba, inizia il ritiro vero e proprio. Il locale che ci
accoglie è riservato solo alla meditazione, quando arriviamo è già
stato predisposto: i cuscini ben allineati e l'aria già pregna degli
incensi che stanno bruciando. Stefano, che ci guiderà in tutte le fasi,
prende posto di fronte a noi. Io non riesco a trovare la posizione e
dopo cinque minuti mi fanno male le gambe. Accanto a me c'è la
violinista, con mia grande sorpresa la scopro nella posizione perfetta
del loto; con gli occhi chiusi e un'espressione rapita noto che è
veramente bella.
Dopo ogni esercizio Stefano si rivolge ad ognuno di noi per sapere
quali immagini e sensazioni siano emerse.
E' appunto in questa fase, al terzo giorno, che succede qualcosa di
inaspettato.
Non ricordo con precisione quale esercizio sia stato, ma quando arriva
il turno di una ragazza, proprio quella che avevo notato per la sua
riservatezza in aereo, sentiamo parole che ci raggelano.
'Questo viaggio per me è solo un disperato tentativo di non mettere in
atto ciò che progetto da tempo: il suicidio. Se non succede niente qui
farò un ultimo tentativo, alla fine di questi incontri mi metterò in
viaggio verso l'Himalaya alla ricerca di un Maestro che possa guarire
il mio male di vivere. Sarà quel che sarà'.
Nessuno fiata, neanche Stefano parla, guarda con dolcezza la ragazza e
poi chiude anticipatamente la seduta.
Nei giorni successivi, gli incontri si susseguono regolarmente,
l'accaduto non ha cambiato l'atmosfera, come se episodi del genere non
fossero infrequenti durante questi ritiri.
In un colloquio a quattr'occhi con Stefano, una sera dopo cena, vengo a
sapere che per alcuni, che soffrono del 'male oscuro', questi viaggi
rappresentano l'ultima spiaggia. Mi confida pure che la ragazza ha
avuto un lungo colloquio con l'Abate del monastero. Sempre con quel
sorriso misterioso mi fa capire che qualcosa è accaduto.
Ormai il viaggio volge al termine. La sera prima di partire ci
ritroviamo tutti in un ristorante caratteristico nella zona più bella
della capitale nepalese.
L'atmosfera è dolce e rilassata, in tutti c'è il compiacimento per aver
fatto qualcosa di importante. Anche la ragazza disperata, stasera
sorride. Mi auguro di tutto cuore che abbandoni qui i suoi fantasmi.
In aereo ci scambiamo gli indirizzi, tutti vorrebbero incontrarsi in
Italia, per ricordare il viaggio; io so già che non andrò. Rivedersi
per me è come rompere l'incanto vissuto in questo lontano angolo di
mondo.
Solo Patrizia, la bella violinista, intuisce che non ci rivedremo, ma
qui abbiamo imparato il significato buddista dell'impermanenza. Gli
ultimi saluti tra me e lei hanno il tocco delicato di chi con un gesto
della mano scompone in un attimo il Mandala realizzato con giorni e
giorni di lavoro.
Passeranno anni prima di ripeter un'altra avventura dello Spirito. E questa volta sarà il Monte Athos.
(Continua)
Remo Natali