Una delle fonti più autorevoli in relazione alla conquista veneziana di
Gallipoli del maggio 1484 è , indiscutibilmente, rappresentata
dall’umanista Antonio De Ferraris Galateo. Non tanto per la grandezza
di intellettuale e di scrittore , ma specialmente , come credo , per i
rapporti familiari e affettivi che lo legavano a Gallipoli dove
soggiornerà lungamente in casa della figlia Betta , coniugata ad
Alfonso Orlandino , praticherà l’arte di Esculapio , incontrerà
l’intellighentia del luogo e la sbarazzina Nifi con cui , probabilmente
, ragionerà anche degli avvenimenti tragici che avevano funestato la
città bella nella primavera del 1484.
Bisogna , tuttavia , precisare che egli ne scrisse circa 25 – 30 anni
dopo in due delle sue più celebri opere: il “de situ Iapygiae” del
1510-1511 e la Callipolis descriptio , composta e datata da Gallipoli
il 12 dicembre 1513.
L’obiettivo principale di Galateo non sta tanto nei dettagli
descrittivi, quanto nel rivendicare l’antica fidelitas di Gallipoli
agli Aragonesi , e la costante lealtà dei Salentini di questo estremo
angolo d’Italia il cui valore e la cui fedeltà ritiene normalmente
“consegnati all’oblio e al silenzio”.
Giacchè – precisa il nostro – “se tutte le città di questa regione
avessero avuto il coraggio dei leccesi, dei tarantini , dei
gallipolitani e degli idruntini , multa quae nos oppriment mala non
pateremur( non patiremmo i molti malanni che ci soverchiano)”.
Or bene passiamo in rassegna le testimonianze galateane relative
all’assedio del 1484, nell’ordine cronologico in cui vennero composte.
Nel “De situ Iapygiae” (versione di Nicola Biffi,2001):
”Cinque anni dopo la conquista di Otranto da parte dei turchi
(Gallipoli) fu occupata dalla flotta dei Veneziani e messa a sacco.
Città di specchiata fedeltà e virtù, resistette ai nemici fino alla
disfatta, priva di qualsiasi aiuto esterno.Gli abitanti erano così
pochi che a ciascuno di loro era assegnata la difesa di sei o sette
merli degli spalti..La gran parte dei cittadini cadde combattendo
strenuamente sulle mura, mentre tutti quelli che sopravvissero furono
quasi tutti feriti.Infine alcune donne salirono sulle mura e per un po’
si opposero ai nemici; degli abitanti, in gran parte furono(come ho
detto) uccisi; pochi se la cavarono senza ferite.Fra i nemici mancarono
all’appello in cinquecento,compreso lo stesso comandante.Si
comportarono così eroicamente i gallipolitani che nessuno potrebbe a
buon diritto definirli vinti, quanto travolti dal gran numero dei
nemici”.
Circa due anni dopo , nella “Callipolis descriptio” (versione Zacchino,
trad. di Amleto Pallata,1997, p.38) l’episodio viene presentato con
queste parole:
“Durante l’assalto alla città la maggior parte di esse (le donne
gallipoline),poiché quasi tutti gli uomini erano sfiniti , o feriti, o
morti , salirono coraggiosamente sulle mura e per qualche tempo
resistettero agli attacchi del nemico, finchè, concentratesi da ogni
parte navi da guerra e da trasporto con una infinità di soldati,
innumerevoli mezzi bellici e varie specie di artiglierie, molte furono
ferite e catturate e parecchie caddero combattendo con valore. E
perciò, non a torto ritengo, quando il discorso cade su questo
avvenimento, io di solito sostengo che gli abitanti di Gallipoli e di
Otranto furono non vinti, ma schiacciati dalle soverchianti forze
nemiche…..”.
Aggiunge che i vincitori impedirono offese alle donne,” si astennero
dal massacro,dal fuoco e dal sangue e non vollero che per la
restituzione dei prigionieri fosse pagato alcun riscatto”.
Le suddette testimonianze galateane non trovano troppo riscontro nei
documenti ufficiali di poco posteriori all’evento, da cui, anzi,
sembrano divergere.Prendiamo ad esempio la petizione che l’Università
di Gallipoli invia a Re Ferrante d’Aragona il 9 dicembre 1484, a meno
di due mesi dalla partenza degli occupanti, con la richiesta di grazie
e privilegi. Diverse le cifre (stranamente al ribasso), diverso
l’atteggiamento, come è ovvio, della città occupata nei confronti dei
Veneziani.
Vi si legge, fra l’altro (Cfr: C.Massa, Venezia e Gallipoli ed altri
scritti a cura di M. Paone,Galatina Editr.Salentina 1984,pp.165-166)
che il giorno successivo alla richiesta di resa rifiutata dai
gallipolini, i veneti “circondarono et invasero dicta Cetà cum loro
Armata trovandola improvvisa (leggi sguarnita) de homeni et
d’artegliaria, perché erano di fuori cum navilii, et ad metere, et chi
per altre cause, circa persuni centocinquanta, tutti romeni de facto,
epsi adsaltarono dicta Cetà con circa persuni septemila.(…) Fedeli al
loro Re-prosegue la supplica- i gallipolini “stavano tucti cum grande
animo ad defenzare dicta Cetà invocando sempre el nome di V.M. Alla
quale defensione admaxarono il Capitano Generale padrone delle galere
et altri più delle persone trecento. Deli nostri in dicta defensione
furono morti circa persone trenta et altri feriti circa quaranta non
mancando continuo far il dovere per quanto fusse possibile.Tandem, non
tossendo più resistere, per forza entrarono li nemici admaxando, et
ferendo omne persona che trovavano, et intrati posero dicta Cettà ad
sacco universalmente, non lasciando cosa alcuna, et quello tollere(non
potevano) spaccavano et bruciavano; che non fu tal crudeltà al Mundo
vista, quanta fu per dicti nemici in dicta Cità usata.Quali tennero
circa mesi quactro, tractandoci comu cani, ingiuriandoci, prendendo le
robe per forza dove le trovavano, non usando parlar l’uno con l’altro”.
Curiosamente il corografo-filosofo, nel narrare fatti avvenuti circa
25-30 anni prima, appresi verosimilmente da fonti orali, esalta
l’eroismo dei difensori più degli stessi amministratori di Gallipoli,
che come si può comprendere, avevano tutto l’interesse per gonfiare i
danni patiti allo scopo di ottenere dal sovrano grazie e favori più
consistenti. Nella testimonianza di Galateo il numero di nemici uccisi,
CINQUECENTO, sembra funzionale alla esaltazione dell’eroismo dei
Gallipolitani, sicchè supera quella generica di “più delle persone
trecento” segnalate al Re dalla Città. La quale , ovviamente, non
poteva permettersi di essere obiettiva nei confronti dei Veneziani, né
di elogiarne, com l’Umanista, la moderazione e il rispetto delle donne.
Vittorio Zacchino