Questo titolo potrebbe apparire molto forte, ma di questi tempi, cioè tempi
di ancora molte guerre guerreggiate sulla faccia del pianeta Terra, non
credo che lo sia.
Comunque dire ciò che uno pensa veramente, o meglio ancora
dire la verità, anche se dovesse essere relativa, significa far del bene
prima a se stessi e poi anche a coloro con i quali si intende interloquire.
Personalmente amo Venezia come ogni altro cittadino del mondo, nel senso che
il mio è un amore intriso di un sincero riconoscimento a questa grande
capitale del mondo per i suoi molti primati, fra cui quelli dell'arte,
della scienza, della religiosità, della cultura in generale, e all'interno
di quest'ultima quelli dell'accoglienza, della pace, della distensione fra i
popoli. Non a caso, negli ultimi decenni Venezia è stata scelta come città
entro le cui mura si sono svolte manifestazioni di solidarietà, di
fratellanza e di sorellanza fra popoli, nazioni, differenti religioni.
Negli
ultimi decenni poi, Venezia è simbolo di città di e per la pace. Venezia è
oggi la città dell'amore e degli innamorati, e mai, ed in nessuna epoca,
l'amore ha potuto significare guerra, distruzione, sopraffazione,
imposizione della propria visione del mondo su altri popoli, nazioni, paesi,
singoli individui.
Così, però, non è sempre stato, perché, allorquando la più importante città
italiana della Laguna, nei secoli che vanno dal 1400 al 1800 inoltrato,
svolgeva anch'essa -assieme all'impero Ottomano- un suo non piccolo ruolo
imperiale nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e nel resto dell'Estremo
Oriente, non ha potuto evitare di imporre il suo emblema dal leone rampante
con la forza militare, con i suoi eserciti, le sue flotte di guerra, i suoi
colonizzatori, i suoi messi dogali.
E di un assedio armato si tratta quanto accadde nel 1484 a Gallipoli che,
nella sua storia millenaria, almeno per quello che se ne sa fino ad oggi, ha
conosciuto l'oltraggio dell'aggressione diretta non una sola volta. Secondo
Carlo Massa che, nel suo libro "Venezia e Gallipoli" (a cura di Michele
Paone, Galatina 1984), cita il Micetti e altri coevi, Gallipoli fu assediata
sicuramente nel 1131 da Ruggiero (il Normanno), ancora nel 1268 e 1269 per
ordine di Carlo D'Angiò e per mano dei fratelli Pietro e Galterio de
Soumeroux, quest'ultimo giustiziere di Terra d'Otranto per conto degli
Angioini. Molto probabilmente in queste due occasioni la città sullo scoglio
venne distrutta o per lo meno grandemente mutilata.
È noto anche -perché i classici ce lo hanno tramandato- che anticamente
(cioè prima dell'anno Mille) Gallipoli non subì dei devastanti assedi né dal
mare né dalla terra ferma, che le sue mura non furono violate e non risulta
che dei soldati stranieri siano poi entrati nella città con spade e
scimitarre per seminare morte e distruzione.
Ad esempio, lo storico navarco Tucidide ci ha lasciato scritto quanto segue:
«Demostene, ed Eurimedonte, quando il corpo di spedizione fu completo,
salparono, uno da Corcira [l'odierna Corfù], l'altro dal continente e con
tutte le forze al completo attraversarono lo Ionio e giunsero al promontorio
Japigio; quindi, partiti di là, approdarono alle isole Cheradi [che per me
-come ancora ipotesi di ricerca- sono le tante isole gallipolitane], che
appartengono alla Japigia. Imbarcato un piccolo contingente di lanciatori di
giavellotti Japigi, 150 in tutto, di stirpe Messapica, e rinnovato un antico
patto di alleanza che li legava a un certo Arta, un capo potente che aveva
loro fornito pure i lanciatori di cui sopra, giunsero a Metaponto, città
dell'Italia» (Cfr. Tucidide, "La guerra del Peloponneso", nella traduzione
di Luigi Annibaletto, vol. 2, Oscar Mondadori, 1976, pp.176-177. Sono mie le
incidentali fra parentesi quadre).
Se l'ipotesi delle Cheradi dovesse rivelarsi esatta (gli studi, al momento,
vanno in quella direzione), va da sé che il pacifico approdo di Tucidite nel
V secolo a. C., avvenne proprio sullo scoglio dell'allora messapica città di
Anxa, vale a dire l'odierna Gallipoli.
È anche noto che nei secoli in cui vi furono rapporti commerciali e di altra
natura, anche sotto il periodo delle diverse colonizzazioni dell'Italia
meridionale, ed in particolare della Puglia, del Salento o Japigia, come
allora chiamavano questo lembo di terra, quindi della nostra Gallipoli, non
esiste altra memoria scritta e neanche orale che ci dica di conflitti che
direttamente interessarono la città.
Nel V sec. a. C., la stessa tremenda
guerra tra Messapi e Tarantini si svolse in un territorio abbastanza lontano
dalla città sullo scoglio. Eppure sappiamo bene che il Salento -in altri
momenti si è chiamato anche Terra d'Otranto- è stato terra di conquista per
molti eserciti.
Si pensi, ad esempio alle molte colonizzazioni subite:
nell'età classica dai Greci e dai Romani, poi nel Medioevo dai Bizantini,
quindi, dopo il Mille, dai Normanni (1130-1194), dagli Svevi (1194-1258),
dagli Angioini (1266-1435), dagli Aragonesi (1458-1496), e ancora da altre
signorie Spagnole (1503-1526), e poi dagli Austro-Veneti (1516-1665), e dai
Borboni (1700-1860), fino a giungere ai franco-piemontesi Savoia
(1860-1945).
È evidente che ogni dominazione comporta distruzioni e morte ma, allo stesso
tempo, va rilevato anche che il passaggio sul territorio salentino, e qui
nello specifico gallipolino, di alcune di queste armate e dei loro seguiti
non hanno potuto non lasciare delle testimonianze attraverso monumenti o
altre vestigia.
Per quanto riguarda la nostra città si guardi, ad esempio,
il Castello Angioino, che anche nello stesso nome risale all'epoca di Carlo
D'Angiò. Di questo gioiello dell'architettura militare, abbiamo un'ottima
descrizione fatta dallo storico locale Ettore Vernole;
ed ancora, del
periodo degli Spagnoli, abbiamo buona parte del borgo antico (Gallipoli
vecchia) che contiene numerosi palazzi con ancora le scritte in lingua
originale sulle loro facciate. Oggi forse potrebbe essere una convenienza
architettonica e turistica restaurare questi palazzi e farli ritornare al
loro antico splendore.
In questo senso, anche se si riferisce ad un epoca
appena successiva a quella che noi stiamo trattando qui, si muove il
contributo dato dagli storici Mario Cazzato ed Elio Pindinelli con il volume
edito dal Crsec distrettuale di Gallipoli, e che ha per titolo "Dal
particolare alla città: edilizia, architettura e urbanistica nell'area
gallipolina in età barocca" (Gallipoli 2002).
Ma ritorniamo a noi, e all'assedio veneziano del 1484. La municipalità di
Gallipoli, grazie all'opportunità che le venne data dalla locale sezione
della Società di Storia della Puglia, il 22-23 settembre 1984, in occasione
del V° Centenario, rievocò, in modo encomiabile, quell'evento con un
Convegno nazionale il cui titolo fu "La presa di Gallipoli del 1484 ed i
rapporti tra Venezia e Terra d'Otranto".
Il dott. Donato Palazzo, all'epoca commissario della locale sezione della
Società di Storia Patria per la Puglia, e il sindaco di Gallipoli,
l'onorevole Mario Foscarini, furono i promotori del convegno, presieduto da
alte autorità: il prof. Ugo Carenato, quale inviato personale del sindaco di
Venezia, on. Mario Rigo; il prof. Francesco Maria De Robertis, quale
presidente della Società di Storia Patria per la Puglia; il dott. Domenico
Amalfitano, quale rappresentante del governo; il prof. Donato Valli, quale
magnifico Rettore dell'Università degli Studi di Lecce; il prof. Francesco
Tateo, quale Preside della Facoltà di Lettere dell'Università degli Studi di
Bari.
Negli "Atti" del convegno (pubblicati dalla stessa Società nel 1985) sono
riportati gli ottimi risultati dell'incontro. Basti citare qui l'indice dei
lavori per avere l'intera portata del valore storico-scientifico di quanto
dibattuto: "Interrogativi sulla presa di Gallipoli", di Donato Palazzo;
"Politica e commercio dei Veneziani in Puglia", di Paolo Preto, professore
dell'Università di Padova; "La presa di Gallipoli il mito di Venezia", di
Francesco Tateo; "L'improba città di Nardò nel conflitto veneto-aragonese
del 1484", di Vittorio Zacchino; "La geografia ideologica del Galateo
descrittore di Gallipoli", di Domenico De Filippis; "La descrizione di
Gallipoli nell'evoluzione degli interessi geografici", di Isabella Nuovo;
"Malipiero non fu Ahmed. Otranto 1480 - Gallipoli 1484. Crudeltà dei turchi
- Pietà dei Veneziani", di Rosario Jurlaro; "Raffigurazione dell'assedio del
1484 negli stemmi araldici dei sindaci gallipolitani", di Maurizio Nocera e
Vitantonio Vinci; "Gallipoli, dalla morte di Giovanni Antonio del Balzo
Orsini alla vigilia della presa dei Veneziani", di Michele Paone; "Venezia e
Veneziani nell'esperienza e nel giudizio di Antonio Galateo", di Donato
Moro; "Gallipoli aragonese all'indomani della presa del 1484", di Giuseppe
Barletta.
Come è facile intuire dagli stessi titoli delle relazioni e dei contributi
presentati al convegno, la speculazione storico-documentale sull'assedio di
Gallipoli da parte dei Veneziani è stata sufficientemente approfondita.
Non
tutto però è stato fatto, perché restano ancora molti punti da approfondire
come, ad esempio, tutti quelli indicati nella relazione introduttiva del
dott. Donato Palazzo che, a tutt'oggi, restano inesplorati.
Per questo, nel
riprendere in mano l'argomento, in occasione del 520° anniversario
dell'evento e a vent'anni di distanza da quel convegno, magari pensando ad
un'eventuale nuova pubblicazione di quegli "Atti", sarebbe opportuno farsi
promotori di una nuova iniziativa nella prospettiva di un più forte e più
autentico legame tra Gallipoli e Venezia, due città oggi sorelle in un nuova
Italia unita, proiettata sulla via della pace e della fratellanza fra i
popoli.
Maurizio Nocera