Succesivamente, nell’agosto 1939 fu Pasquale Diurisi a compilare il
secondo numero, composto da sei pagine. Il terzo numero fu finito di
stampare dalla tipografia Emilio Stefanelli fu Gaetano, il 6 febbraio
1940 e compilato da Antonio Barbino. L’ultimo numero porta la data di
Settembre 1940 venne compilato dal dott. Antonio De Marini mentre il
direttore responsabile era il dott. Antonio Barbino.
Il Goliardo, giornale creato da giovani universitari iscritti al Nucleo
Universitario Fascista di Gallipoli, conteneva esilaranti articoli a
sfondo satirico, sfottenti e spesso al limite della temerarietà.
Nell’articolo di presentazione a firma “Catone” del primo numero, così si leggeva:
” Tanto per intenderci - Come Venere dalle spume del mare così questo
giornale è balzato fremente di ridenti bellezze del fresco spumeggiare
dell’umor lieto e balzano della gioventù universitaria gallipolina
giuliva ma seria pur nella spigliatezza dei vent’anni. Noi non temiamo
di offendere nessuno, perché sappiamo che ognuno dei nostri lettori e
in special modo quelli che hanno la singolarissima fortuna di essere i
personaggi della scena del nostro buon umore sanno bene quel famoso
detto latino: Semel in anno licet impazzire. Sarebbe una vergogna se i
giovani del N.U.F. gallipolino primi in questa iniziativa come in altre
fra tutti quelli della provincia non comprendessero che è bene
scherzare non solo una volta ma anche più volte all’anno se lo
consentirà il favore dei nostri lettori per cui non sarà grave di
“comprare risum cun sordis”…….
Si nota subito il tono scanzonato di comporre il giornale solo per
scherzarci un po’. A mo’ di ingresso, sulla prima pagina è contenuta
una poesia in dialetto firmata “Deto”
C’è permessu? –
Possu tire quattru cose
A sta cara signuria?
Cu presentu a sposi e a spose
Quista bedda cumpagnia?
Simu tutti studientelli,
- nu de scole lementari –
e nu ssimu poi munelli,
ma stutiamu a Roma e a Bari.
A Milanu, a Firenze,
a Pulonia e tanti parti:
nui stutiamu tante scienze,
nc’è tra nui ci stutia l’arti. –
Tanti mo’ bbimu spicciatu
E nde simu lauriati;
ma ci ppo pijare fiatu
prima ndimu sestimati?!
Ma lassamu quiste cose –
Be presentu stu giurnale
(nci su cose sustanziose!)
propriu moi ca è carniale –
Be putiti divartire
Ci laggiti ccinca uliti,
suntu scherzi ca suffrire
e accettare bene bbiti –
Imu scrittu to parole
E puesie te lu mumentu,
cu ll’accetta cinca ole:
a stu pattu le presentu.
Un sorta di latino maccheronico viene usato nel comporre la poesia
Ballus Carnialescus assai umoristica, con riferimenti a personaggi del
periodo molto conosciuti in città. La poesia è firmata con lo
pseudonimo Lorenzus Magnificus.
Ballus Carnialescus
Carniale quandu venet
Mangia et bibit cinca tenet,
Qui non habet post denaros
Mulos mangiat et somaros.
Mangiat iste soas polpettas
Mangiat ille cutulettas
Et Fideli dat carizzam
Bonam ut sbafet sardizzam.
Tum post magnam sbafationem
Tutti currunt ad vellionem :
Illi gettant ubi vais
Candallinos cum cacais.
Ad sinistram e at destram
Ammassari habet orchestram
Cum trombetta et bassis
Cum piattinis et grancassis.
Zumpant ballant cantant rident
Multos quos oculi vident ;
Zumpant nostri secretari
Direttores, commissari,
chiaccherones, advocati,
professores, slitterati,
cum doctoris macellari,
operari, sacristani.
Zumpant puru scalzacani,
Zumpat iste, ballat ille
Cantant centu, rident mille.
Cesar cantat cum giornale
Ubi dicit bene et male
Angelinus per gazzettam
Cantat scialba cronachettam.
Ballat doctor Salomone
Cum nchialettis et nchialone,
et cum cartis de ramì
danzat Curi et Giannì.
Ninus ballat Petruzzellis
Cum culleghis et cum puellis,
Ballat Cesi cum nasone
Et Perillus cum bastone ;
Facit etiam bonos passus
Homo altus, monchios, crassus.
Gallì ballat impalatus
Suus beccus est nciratus.
Sine vecchi ballat puelle
Semper toste, bone e belle.
Si Fabozzis timet ballos
Parcè habet multos callos,
Ammassari se arraggiat
Percè ballos non assaggiat
Et per raggiam propriu scoppiat
Quandu festam tottam stroppiat;
et cum voce de Nirdò
gridat paccius: “Mi ndi vò!”
Ridet iste, cantat ille
Ballant centum, zumpant mille.
Il primo numero si chiudeva con questa strofa :
Ci nde uliti sentere
Laggiti stu giurnale
Sa no pija e nu pare
Ca ete carniale.
Il secondo numero, uscito nell’agosto 1939 cantava le bellezze
della città di Gallipoli in un racconto: Romanza d’una notte d’estate.
Mimì de Rossi, firma l’articolo sotto riportato: Vita Gallipolina non
disdegnando il ricorso alla sottile ironia e alla satira, evidenziando
le cose che “andavano bene”, si fa per dire, in città a cominciare
dalla cattiva abitudine di …dar pace ai trapassati per poi passare al
rischio di vedersi annaffiato da docce gelide all’inverno camminando
per le vie di Gallipoli vecchia.
“Gallipoli, la bianca, dette i natali a varie persone illustri:
Salvator Tromba, Francesco Spinni, Zio Giorgio dell’Acatuccia, Peppino
il Gambero,il Remo.
Tra i viventi citiamo Nicola, che alla virtù accoppiando la modestia ha
saputo infondere e incrementare nelle nuove generazioni, una fra le più
sublimi arti della nostra città.
Come è incantevole vivere a Gallipoli!
Tutto è delizia, tutto è splendore; tutto è vario e solenne dalla
mattina alla sera. Il vento ti giunge forte, insistente ovunque tu sia,
allietandoti l’animo e il core.
Lo stesso Galateo scriveva all’amico Summontio, che viveva a Gallipoli
meglio di ogni altra città, perché il suo animo era allietato dal
ruggir del vento.
I Monelli sono tipici qui a Gallipoli:vanno dall’età di bebè a quella
austera di gagà; si vedono nelle vie, vezzosi nei versacci, pudichi
nelle frasi e nel dar pace ai trapassati altrui nessuno li riprende sia
cittadino o guardia perché figli di persone per bene.
Caratteristica in tema di gagà, è vivere la vita della Spianata a Mare.
Tu troverai dei bravi giovani dediti al ballo, al giuoco, e
nell’intrecciar catene che sciolgono poi col cambiar della stagione.
Abitando qui a Gallipoli hai tutte le comodità che il buon Dio ha
concesso: bagni di mare all’està, docce gelide all’inverno se ti
avventuri in ogni strada nascosta o poco in vista. E non basta. Puoi
godere dei solatii viali di quella villa piena di fiori profumati che
fanno corona alla moderna ricostruzione romana delle forche caudine. E
ancora i bei lungomari!che delizia! D’estate e d’inverno sono sede di
ardimentosi amatori (non quelli della musica, s’intende), passeggiate
preferite dagli amanti, serve, signore vergognose, studentesse. Tutto è
concesso, tutto è favorito in questi viali; puranco la richiesta
oscurità perché non ardon luci, e uno di questi conduce all’ospedale”.
Carnevale del 1940 al prezzo di 80 centesimi, 30 centesimi in
più rispetto al primo numero, usciva il terzo numero. Questo aumento
non passò inosservato ai lettori tanto che indirizzarono una protesta
alla redazione. Il Goliardo però non si fece pregare e in un articolo
di fondo indirizzato ai “Cari Lettori” tra l’altro si leggeva: “…..Mai
una volta che qualcuno di voi ci abbia scritto: “ Caro Goliardo,
l’ultima edizione è stata strabiliante, valeva non una, ma mille lire,
per cui alla presente mi permetto unire l’importo di….”
- Una carrellata di negozianti gallipolini sono contenuti in questa poesia a firma di Ninetto Vria. Quanti ricordi!
Li marcanti ‘genere te Caddipuli
Ci sorta te mangrammi
Tanimu a stu paese,
ca è meju cu nu pensi
ca nci rimetti spese.
Ncè dd’Angiulu marcante
Matonna cci ghè caru,
te costa cchiui la fotara
ca nu custume sanu.
Ci pij ddi Zacà,
parlandu ccu rispettu,
li sordi se l’ane fatti
ccu lu cuttone ppe cazzettu.
Prima intra don Titta
Acure e capisciola,
mò tuttu trovi, criteme,
mentru penne ppe la scola.
Diu cu nde llibbara
Te don Giuvanni Cavalieri,
ca ppe nu sordu criteme,
cci scornu me tese ieri.
Preane li santi
Cu begna mercutia,
e a ogni forastieri
nde facene la mmacaria.
E ddu pouru mesciu Paulu,
Cosa propriu ccu nu criti,
ddu macazzinu chinu
te prima cchiui nu biti.
Lu visciu spaliggiatu,
e me face cumpassione,
ci lu rifretti, criteme,
sia ca viti lu mmalatrone.
Casi ca nde le misara
Le sanziuni a li ucceri,
nu giurnu basta bindene
e se nquetane li pansieri.
Ncè ddu Lobbassu,
Fedele, Mij e Curciulu,
oh, quanta robba vindene,
cosa ccu cunti sulu.
Una vignetta raffigurante “Donna Grazia e Comare Cia” in una scenetta scritta da “Miaù” (laureando in medicina locale).
Un giornale, “Il Goliardo”, che conteneva una sana miscela di frizzi e
lazzi, sfottò e ironia. Un giornale fatto da amici. Non mancava quel
pizzico di cultura. E che diamine! Non era forse il giornale degli
universitari già in procinto di sostenere la tesi di laurea. Anche
perché il goliardo è lo studente che è iscritto almeno al secondo anno
accademico. Di questi amici qualcuno non c’è più. Come per esempio il
compianto prof. Antonio Barbino, Nino Carrozza, poeta dialettale, il
dott. Ciccio Salomone, Mimì de Rossi, Alfredo De Matteis, il prof.
Mario Pisanello. Personaggi questi che hanno riempito le cronache delle
quattro edizioni e che insieme a tanti altri, tutti universitari, si
dilettavano a scrivere di tutto e di più.
Intanto era da pochissimo che l’Acquedotto Pugliese aveva consegnato ai
gallipolini la fontana, posta all’inizio del ponte. Il Goliardo la
prese di mira fantasticando sul possibile uso che la gente avrebbe
potuto fare con l’arrivo della stagione calda, in cerca di refrigerio.
Veramente ci sarebbe da disquisire anche oggi e forse più di ieri e
senza ironizzare troppo, sul ripristino effettuato dopo che all’inizio
degli anni 60 venne abbattuta. Si disse per motivi di traffico! Il
risultato odierno è stato quello di trovarci davanti ad una accozzaglia
di stili e di materiali. L’ultima trovata, con la speranza che sia
l’ultima per davvero e che sia stata speriamo accantonata, era quella
di posizionare su quel piedistallo in carparo, che non si capisce a che
serve, una scultura dell’artista gallipolino Max Hamlet Sauvage. Tutto
il rispetto per l’artista. Ma perché per una volta tanto non si
incomincia ad avere rispetto per la storia? Già ne abbiamo avuti troppi
di vandali che, in nome del modernismo, hanno in qualche modo
cancellato testimonianze del tempo passato. Per tutti basti ricordare
il ponte seicentsco in pietra e il Convento di Santa Chiara, che tanto
costò alla nobile Elisabetta Sansonetti. Sarebbe stato più corretto,
più meritevole di elogio, più bello se, chi abusivamente si appropriò
dei blocchi di pietra raffiguranti le spighe di grano e dei pinnacoli
con le baionette, li avesse restituiti ai legittimi proprietari: cioè
ai gallipolini. Ecco invece cosa pensavano della Fontana gli
universitari del N.U.F. in un articolo a firma “L’Osservatore”.
“ - La Fontana - Molti cittadini hanno chiesto alla redazuione del
nostro giornale la data di inaugurazione della nuova fontana
monumentale.
Dopo le necessarie informazioni ci sentiamo in grado di dare le seguenti comunicazioni.
E’ bene che tutti sappiano prima di ogni altra cosa che la fontana non
è stata inaugurata fino ad oggi, né sarà inaugurata in questi mesi per
un motivo che ogni cervello di gallipolino avrebbe potuto ben
comprendere. Trovandosi infatti la predetta fontana preso un luogo di
passeggio frequentatissimo nei mesi estivi, si è pensato inaugurarla
all’inizio della prossima stagione, principalmente per il fatto che
come è oggi non è completa, poiché le manca quella costruzione
metallica ad azionamento elettrico di cui parleremo subito e che la
renderà attraentissima.
Verso il centro dell’asta metallica, che è la parte più notevole di
essa, sarà disposto un cerchio di acciaio mobile attorno alla fontana,
dal quale partiranno apposite spranghe, pure di acciaio, che rimanendo
aperte a guisa di amplissimo ombrello, costituiranno l’ossatura di una
bellisima giostra metallica. Dico che essa sarà interessantissima ed
unica, perché su di essa l’estate, quando a Gallipoli c’è quello
scirocco snervante che ti fa diventare di fuoco, ognuno dei
frequentatori del passeggio e della spianata potrà salire in maglia da
bagno (specialmente i fidanzati!). Gli spruzzi della fontana,
regolabili a piacere dei giostranti, saranno salutare e fresca carezza
per tutti. Venendo al più bello dirò che sarà molto interessante
assistere alla inaugurazione della predetta fontana-giostra.
Quel dì quel futuro dì, quel sospirato dì, vedremo tutte le autorità
civili e militari di Gallipoli fare il giro di inaugurazione. Da fonte
attendibile si apprende che il nostro Segretario non avendo gli sproni
del caro Gaetanino non vorrà cavalcare e si accomoderà in una
carrozzella; pare invece che il nostro fiduciario vorrà montare un
cavalluccio mantenendosi dritto dritto così come cammina, anche se
sproni non ne ha mai portati. – Il Capitano di porto poi, da buon
marinaio, sceglierà una gondola; il direttore della R. Scuola
Industriale nel caso il meccanismo non funzioni manderà a chiamare gli
esperti elettricisti che verranno sul luogo l’uno con la topolino e
l’altro col pizzetto mentre il preside canterà un carme latino e
ricorderà le più vorticose scene dell’inferno dantesco,
Davanti a tanto spettacolo il maresciallo Morra ordinerà a tutti di far
silenzio, perché si possa sentire la voce tenue dell’acqua chiaccherina
e tutti noi grideremo contenti: ”Adesso si che si è fatta a Gallipoli
una cosa buona!”
E sarà così inaugurata la fontana del 2000 o del 2100.”
In quanto a fantasia non c’era male. Siamo al 2004 e della fontana dell’Acquedotto si parla ancora oggi.
L’ultimo numero de Il Goliardo, dicevamo, arrivò in edicola nel
settembre del 1940. Ai piedi della prima pagina trovava posto la
vignetta qui a fianco raffigurante la fontana antica con la scritta
:”Come sarebbe stato preferibile proteggere la Fontana Monumentale”.
Povere fontane! A Gallipoli sembra che le Fontane non abbiamo proprio
fortuna. Già da allora si rendeva necessario intervenire per la tutela
del monumento. Questo ci dà l’esatta dimensione di come il tempo non
sia passato per nulla. Eppure sono passati sessantaquattro anni!
Cosimo Perrone