Le vie di Gallipoli

Via Cavalieri di Rodi


L’Ordine dei Cavalieri di Rodi, oggi Cavalieri di Malta, nacque dapprima come modesto Ordine Ospedaliero presso il Tempio di S. Giovanni in Gerusalemme.
Successivamente, quando con l’avanzare dei Turchi nel mediterraneo, che avevano già occupato la Terra Santa, si ebbe sotto il Pontificato di Urbano II, al tempo delle Crociate, un profondo risveglio religioso, si trasformò nel 1309 in un Ordine Militare e battagliero, facendo proseliti in tutta Europa e trasferì la sua sede e la sua organizzazione nell’isola di Rodi.
Questo trasferimento fu deciso dall’Ordine in quanto l’isola era considerata punto strategico tra l’Occidente e l’Oriente per meglio contrastare i Turchi nel loro disegno espansionistico, concorrere, con le altre forze alla liberazione delle Terre Sante e offrendo, al tempo stesso, migliori protezioni ai cristiani nei loro pellegrinaggi e ai mercanti la via dei traffici verso l’Oriente.
Ma i Turchi, intendono, ad ogni costo, liberarsi di questo terribile avversario, dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani di Maometto II, concentrarono le loro forze militari intorno all’isola di Rodi, senza, per riuscire ad espugnarla.
Essi ritentavano ai primi di dicembre del 1522, a distanza di oltre 60 anni dal primo attacco e questa volta con un assedio rimasto memorabile nella storia, più per le azioni di valore compiute da quei Cavalieri, i quali però alla fine, sopraffatti dalle stragrandi forze del nemico, dovettero capitolare e nel dicembre del 1522 abbandonarono l’isola nelle mani di Solimano II.
Dopo la disfatta i Cavalieri e i loro militi, messa insieme una flotta di e galee, ai primi di gennaio del 1523, abbandonarono l’isola e cominciarono una lunga ed estenuante navigazione, dirigendosi verso Messina.
Ma la stagione invernale di quest’anno molto tempestosa, i patimenti subiti durante il lungo assedio turco, nonché la mancanza di viveri, dopo tre mesi pieni di navigazione che avevano portato a morte alcuni Cavalieri e un gran numero di marinai, avevano reso impossibile il proseguimento del viaggio.
Così il Gran Maestro VILLIERS, comandante di tutto l’equipaggio, dispose che la flotta proseguisse il viaggio verso Messina, mentre lui decise di approdare nel porto di Gallipoli con le navi prive di personale sufficiente e di viveri, in modo da far riposare la sua gente, ormai stremata, far curare i molti infermi e dopo essersi rifornito di viveri e trovati un certo numero di rematori esperti, disposti a seguirlo, riprende il viaggio verso Messina.
Così il 1° aprile del 1523, il resto della flotta entrò nel nostro porto e i nostri Antenati tutti, patrizi e popolari fecero a gara per accogliere con entusiasmo e cordialità i coraggiosi e sfortunati Cavalieri.
I gallipolitani si sentirono quasi onorati di accogliere e dare ospitalità ai Cavalieri personaggi appartenenti alle più illustri famiglie d’Europa. E per tutto il mese di aprile in cui dimorarono in Gallipoli furono colmati dai nostri di affetto, di cortesie varie e di tutto quanto loro avevano bisogno.
E quando molti di loro vennero a guarigione, ai primi di maggio il Gran Maestro, provviste le navi di viveri e di esperti marinai gallipolini , decise di riprendere la navigazione per Messina, lasciando qui da nai alcuni Cavalieri non ancora perfettamente guariti.
Il Gran Maestro VILLIERS ringraziò i nostri Antenati ed espresse loro, a nome dell’Ordine e dell’intero equipaggio, la gratitudine per la piena e confortevole ospitalità ricevuta; ospitalità che fu poi lodata e apprezzata da tutti i popoli civili, come scrissero il Bosio e il Fontanus e altri storici dell’Ordine di San Giovanni in Gerusalemme.
Il D’Elia propose, pertanto, all’Amministrazione cittadina che fosse titolata una via del borgo ai Cavalieri di Rodi non tanto per le coraggiose e sfortunate imprese di guerra da questi compiute, ma perché fosse conosciuto e ricordato dai posteri quell’atto di cordiale e fraterna ospitalità dei nostri Antenati nei confronti dei Cavalieri medesimi, in un momento, per loro, così doloroso.

 

Via Livio Andronico

Livio Andronico, primo poeta in lingua latina e iniziatore della poesia drammatica e lirica della Roma repubblicana, nacque in Taranto, presumibilmente, verso il 270 a.c. .Incerta rimane, invece, la sua data di morte.
Dopo la riconquista di Taranto da parte dei romani (209 a.c) fu fatto prigioniero di guerra ed insieme ad alcuni prigionieri tarantini , messapi e salentini fu portato a Roma .
Andronico ,però., fu ben presto affrancato dalle condizioni di schiavo da un mecenate , un tal Livio Salinatore, il quale lo ebbe a proteggere e al quale affidò l’educazione dei propi figli .
Vero è intanto che con la caduta di Taranto , tutta la Magna Grecia venne in potere dei romani così avvenne che Andronico , ma anche gli altri suoi compagni , entrando in Roma da prgionieri si portarono dietro ciò che costituiva , tutt’intera , la progredita civiltà greca e, cioè, le lettere , le arti, le scienze.
I Romani che sino a quel momento erano estranei a questa ricchezza di cultura, abituati come erano a quella forma di ricettacolo teatrale , i cosiddetti Ludi scenici che consistevano nel danzare e cantare dei versi con i quali gli istrioni si lanciavano motti e frizzi licenziosi finirono con l’esserne attratti così da appassionarsi tanto alle opere di Andronico e di altri , che in Roma cominciarono a costituirsi molti circoli di Filelleni.
Erano questi dei potenti Patrizi , i quali presero a proteggere i prigionieri liberandoli dalle condizioni di schiavitù ed affidando loro molti discepoli ,compresi i loro figlioli, perché fossero educati alla loro cultura greca alla quale riconoscevano le capacità di formare il carattere , aprire la mente ed ingentilire i costumi.
Il primo libro che Livio Andronico fece conoscere ai Romani in veste latina fu L’ODISSEA. Versione latina in versi saturni dell’odissea di Omero.
In questo poema egli celebra la poesia del focolare domestico, l’attaccamento alla patria, anche se povera e ingrata e la preminenza assoluta del ‘pater familias’ che, assente condanna la casa allo sfascio, e presente la ricostituisce e la fa fiorire; poema che fu molto gradito dai Romani.
Purtroppo di questo poema sono rimasti pochi frammenti.
Nel 240 diede la sua prima rappresentazione drammatica: l’’Achilles’’. Ed egli stesso fu attore come del resto lo fu in tutte le sue opere.
Scrisse otto tragedie: ACHILLES, AEGISTHUS, ANDROMEDA, DANAE, EQUOSTROIANUS, TEREUS, HERMIONA E HAIAX – MASTIGO PHOROS e tre commedie pagliate: GLADIOL (lo spadino), LUDIUS (l’istrione) e VERPUS (il circonciso), modellate sulla commedia “nuova” di Menandro.
Inoltre, nel 207 A.C. compose, per ordine dei Pontefici, in onore di Giunone regina, un carme per placare l’ira degli Dei, che fu cantato da un coro di 27 vergini e dopo il felice esito, il Senato istituì, in suo onore, nel tempio di Minerva sull’Aventino il “collegio degli scrittori e attori”.
Il Prof. Luigi Bianchi, nostro illustre concittadino e nipote del D’Elia, alla fine dell’800 scrisse un erudito e ampio opuscolo su Livio Andronico, presentandolo, a ragione, come la gloria della nostra provincia Salentina nella storia della letteratura latina e della civile e dotta Magna Grecia.
La grande valutazione di Andronico che il nipote aveva espresso nel suo elegante opuscolo e la forte considerazione che il D’Elia aveva di tutti gli scritti del poeta che egli stesso definì opera civilizzatrice delle popolazioni romane che erano passate dalla ruvidezza allo stato di cultura, indusse il D’Elia a proporre che al poeta Livio Andronico fosse titolata una via del borgo.-

Luigi Parisi