Roberto Mazzuci, giureconsulto gallipolino del seicento

La promulgazione dei deliberati disciplinari del Concilio di Trento determinò un diverso assestamento istituzionale della Chiesa cattolica, avviando, di riflesso, una fase nuova nei rapporti tra Chiesa e Stato, tra coscienza religiosa e coscienza pubblica (non a caso nel 1562, durante l'ultima assise di quel concilio, fu istituita a Napoli la Delegazione della reale giurisdizione).
La politica statale come quella ecclesiastica ne furono condizionate nel periodo immediatamente successivo e lungo tutto il corso dei secoli XVII e XVIII, quando divennero sempre più frequenti le asprezze tra Roma e le monarchie regnanti degli Stati cattolici.
Uno degli aspetti salienti di queste collisioni fu certamente la lotta per la preminenza della giurisdizione, rivendicata da parte ecclesiastica con la concezione etico-giuridica medievalistica dello Stato, ma contrastata da quanti, al contrario, intendevano osteggiarne la reviviscenza.
Questa dialettica, dalle impostazioni e dagli esiti differenti nelle diverse situazioni culturali degli stati europei, rilevante e peculiare, e con una genesi ed un'evoluzione va­riamente caratterizzate, nel regno di Napoli coinvolse tutte le componenti della cultura. Interessò, in particolare, filosofia politica e diritto, rivelando, da un lato, la complessità e la ricchezza della vita spirituale e politica del meridione; dall'altro, formando l'essenza del patrimonio ideale assunto dalle generazioni successive, dalle quali sarebbe derivato poi il Giannone.
Le conclusioni storiografiche su tempi, evoluzione, personaggi, ideologie, dottrine e problemi culturali connessi, e insieme i dibattiti, i dissensi, le convergenze e le sintesi riguardanti quelle vicende regnicole non hanno tuttavia ancora esaurito l'argomento, benché da oltre ottanta anni si scavi con crescente interesse e notevoli risultati all'interno di quella realtà poliedrica e intricata, nei suoi riflessi etico-sociali e religiosi. Sono così emersi nella storia del diritto maestri prestigiosi che certamente arricchirono questo discorso nuovo sul rapporto Stato-Chiesa, come pure personaggi meno noti (i cosiddetti "minori"), a cui, come spesso accade, è stato ingiustamente riservato soltanto qualche rapido accenno.
É il caso del concittadino Roberto Mazzuci, il quale, al pari dei più noti giureconsulti "curialisti" vissuti a cavallo tra la fine del secolo XVI e la prima metà del Seicento, mosse dal concetto, teologicamente motivato, secondo cui la Chiesa è una società perfetta e universale, di origine divina e finalizzata al bene spirituale e soprannaturale dei fedeli, affermando di conseguenza la supremazia e la prevalenza dell'ordinamento giuridico ecclesiastico.
La famiglia Mazzuci di Gallipoli è spesso ricordata per aver "prodotto in diversi tempi dei soggetti degnissimi tra i letterati" (Ravenna). Tra le personalità che si distinsero nel campo intellettuale le più rilevanti furono quelle di Francesco (sec. XVI), medico e filosofo; di Sestilio (?-1594), teologo e letterato, erudito nella lingua greca e latina e, nel 1592, nominato da Innocenzo IX vescovo di Alessano (incarico a cui dovette rinunciare per aver, invece, accettato la carica di Canonico in Vaticano, ottenuta per intermediazione del cardinale Pietro Aldobrandini, suo affezionato allievo); di Giovan Battista (sec. XVII), frate domenicano, predicatore rinomato, di profonda dottrina e di virtù e meriti scientifici e letterari tali da meritare la dedica in un epitaffio di Giovan Pietro Musurù (Elogia sacra moralia civilia, Venezia 1672). Senza dimenticare il gran numero di sindaci della città appartenuti a questo casato: Giosolerio (anni 1535, 1537, 1539), Marcello (1629), Benedetto (1671, 1682), Francesco (1674), Antonio (1679), Gaspare (1703), Baldasar (1756, 1768, 1775), Leonardo (1808) e Benedetto (1828).
Queste ora le informazioni pervenuteci sul giureconsulto gallipolino. Menzionato, tra gli altri, dal Toppi (Biblioteca napoletana), dal Giustiniani (Memorie istoriche degli scrittori legali del regno di Napoli), dal già citato Ravenna (Memorie istoriche della città di Gallipoli), dall'Arditi (La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d'Otranto), e in tempi più recenti da Agostino Lauro (Il Giurisdizionalismo pregiannoniano nel Regno di Napoli) nella sezione bibliografica del suo volume, quale autore di opere sia edite sia manoscritte, Roberto Mazzuci nacque in Gallipoli nel 1605.
Laureatosi nell'una e nell'altra legge nel 1634, divenuto Governatore regio di Airola e Praiano ed assunta la carica di Auditore nelle Regie Audienze del Principato Ultra, degli Abruzzi, della Basilicata e della Terra di Bari (quest'ultima quando scrisse la Lettera alli Messinesi), morì il 25 novembre del 1675. Poche notizie, dunque, da integrare certamente con i contributi, finora rinvenuti, del "Polemista Politico" (così definito dal Maggiulli), i quali forniscono sufficiente documentazione per individuare a quale filone ideologico-politico si ispirasse, e quali le tematiche affrontate. Si tratta di allegazioni, opuscoli e studi di più grande respiro, elaborati con intenzioni scopertamente curialistiche, nei quali il dotto ecclesiastico, pur analizzando questioni particolari, assurge spesso a principi e considerazioni generali.
Con enunciazioni drastiche quanto comuni a molti altri curialisti, si impegna così anch'egli a rispondere con una controffensiva teorica alle vivaci tesi dei regalisti, contraddistinte, quest'ultime, da un'energica difesa dei diritti e delle prerogative spettanti alla potestà regia.La Biblioteca Nazionale di Napoli conserva del Mazzuci, in forma manoscritta, e risalente al 1661, una Allegazione giuridica [...] in servitio di S. M. e della christiana Religione, nella quale si giustifica la confiscatione de i beni di Duarte Vaez che fu Conte di Mola, con provarsi anche d'avantaggio, che nè per giustizia nè per gratia se li devono restituire non ostante la sua abiuratione et altri pretesti che oppone (in aperta polemica con quanto asserivano, dal canto loro, gli anticuralisti, secondo i quali la proprietà privata si fondava sul diritto delle genti, per cui nè le colpe, nè le eresie, nè le infedeltà potevano giustificare la confisca dei beni).
"I beni dell'heretici – scrive l'autore, riprendendo le massime dei Sacri Canoni e delle Costituzioni pontificie – s'intendano ipso Iure confiscati a beneficio del Regio Fisco"; pertanto si dichiara favorevole al provvedimento preso nei confronti del giudeo portoghese Vaez, conte di Imola e Giudice Perpetuo Criminale della Gran Corte della Vicaria, ritenuto "indubitato traditor della Republica christiana [...] nemico del Regno di Christo [...] corpo senz'anima", dal momento soprattutto che la sua "abiurazione non sarà stata fatta con tutto il cuore".

Al testo segue un'altra scrittura: il De Poenis eternis, et temporalibus adversus impedientes Officium Sanctae Inquisitionis, dove la risposta a quella ininterrotta resistenza antinquisitoriale che trovava tanto compatti tutti gli ordini sociali del regno verte sulla legittimità del procedimento dell'Inquisizione, confermando la validità giuridica delle sentenze pubblicate dai tribunali ecclesiastici. Scritti non editi, dunque, più agili e veloci di quanto non lo fossero quelli a stampa, che tuttavia non mancavano di deprecare l'abuso, teologicamente immotivabile, di quelle sanzioni, spesso comminate per evidente ed esclusivo criterio politico.
Sulla base del modello borromaico di "tipo ideale di vescovo secondo la Riforma cattolica", già nello Speculum Episcoporum universis Eccclesiarum Praelatis perquam utile, et necessarium, pubblicato a Roma nel 1647 e dedicato al marchese di Taviano Andrea de Franchis, il Mazzuci aveva delineato il corretto comportamento dei Prelati in diversi campi, denunciandone anche qui le prepotenze e gli abusi, ben lontani dalla missione salvifica della Chiesa. "Episcopus non circa res temporales, sed circa Ecclesiae regimen studiosus sit", affermava, perseguendo anch'egli un ideale di Chiesa più evangelico, di una Chiesa meno ligia alla dottrina delle due spade e più incline a restituirsi al Vangelo. Il volume, conservato nella Biblioteca civica di Gallipoli, raccoglie, dello stesso autore, anche le Jurium Allegationes in materia Excommunicationis, dove si affronta lo scottante tema della scomunica, "nervus [...] Ecclesiasticae disciplinae".
Partendo dal presupposto che debba essere esercitata "sobrie [...] magnaque circumspectione", e sottoponendo ad esame critico le deliberazioni dell'autorità ecclesiastica in materia, l'autore esamina per lo più i casi in cui "excommunicationem [...] fulminatam fuisse nullam, iniquam, temerariam, et iniustam" ("citazione invalida", "Iudex incompetens", "ob praetensa verba iniuriosa", etc.).
Una tematica, quella della scomunica, che il giurista gallipolino avrebbe costantemente affrontato nella sua produzione, fino al 1674, anno a cui risalirebbe la sua ultima opera, finalizzata, come le altre che immediatamente la precedevano, ad "armare soccorrevoli discorsi per trafiggere le colpe de' ribelli". Mi riferisco alla Lettera alli Messinesi, nella quale gli dimostra con ragioni giuridiche, e con l'autorità di Teologi, e Dottori, che gli compete l'infame Nota di rebelli nel suo proprio, e rigoroso significato, di Traditori di Dio, e di S. M. Cattolica, di ladroni, predoni, e di Tiranni. Che devono lasciar l'armi, e redursi all'obedienza della Prefata Maestà, altrimente vivono in peccato mortale, e devonsi scommunicare, et intedire [...], (Napoli 1674); opera che seguiva la Battaglia giuridica [...] contro Catalogna ribellata (manoscritto, anch'esso oggi conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, in cui si condannavano i Catalani che "con tanta presonzione, e temerità diabolica hano havuto si detestabile ardimento di prender l'Armi contro un Potentissimo Re Cattolico loro indubitato natural Signore") e la Battaglia giuridica contro Portogallo ribellato in servizio di sua Maestà Cattolica (Napoli 1665), dedicata al Vicerè di Napoli. La Lettera alli Messinesi, che ho rintracciato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, merita, a mio parere, attenzione particolare, trattandosi di una chiara esemplificazione dei principi che sottendevano la teoria "curialista". Le censure, scrive il Mazzuci, "si fulminano per ogni buon fine, et in particolare, acciò li ribelli, e contumaci si emendino, li dubbiosi, e vacillanti si stabiliscano, e li buoni e fedeli maggiormente si confirmino in dar il dovuto ossequio di buon vassallaggio al Re verdadiero, e Cattolico, et in questo modo, si evitarebbe lo spargimento del sangue humano, e le rovine, che sogliono nascere dalle ribellioni"; la stessa scomunica "è stata instituita dalla Chiesa per bene, e salute dell'anima, come si dice appresso i sacri canoni".
Una voce minore dunque che, unita a quella dei giureconsulti più rinomati, aiuterà meglio a capire, all'opposto, il punto di vista di chi, pur tra incertezze, indugi e ritorni, condannò gli sconfinamenti, le usurpazioni e le interferenze della potestà ecclesiastica, i suoi abusi, il fiscalismo e la concentrazione patrimoniale; di chi proclamandosi tutore della giurisdizione regia e dei diritti dello Stato, toccò direttamente o in maniera allusiva quegli argomenti, sfidando le severe, dolorose e castiganti censure ecclesiastiche.

Milena Sabato