Un'altra attestazione inconfutabile sullo stato di vita dei
gallipolitani è dato dai numerosi privilegi che in quel periodo erano
stati concessi dalla Casa Aragonese e che tuttora figurano nella copia
del Libro Rosso della Città, come pure negli studi fatti nell'Archivio
di Venezia da Carlo Massa che li riportò nel saggio « Venezia e
Gallipoli. Notizie e documenti » pubblicato nel 1902 ed ora ristampato
a cura di Michele Paone.
Ma ciò che avvenne nel 1484, con l'assedio e la presa della Città da
parte dei Veneziani, è estremamente significativo anche sul piano dei
rapporti con la Casa regnante. Infatti, dopo questa data, sia i
privilegi, sia gli ordini di tassazione che riguardavano i
gallipolitani hanno una caratterizzazione del tutto particolare, in
quanto re Ferdinando primo tenne conto dello stato in cui si trovava la
sua Città.
Per cui noi ritroviamo tanti e tali benefici rivolti anche a specifiche
famiglie di Gallipoli che ci fanno pensare ad un ruolo ben determinato
che esse avrebbero svolto nei fatti di guerra. Ma, sarà stato per
questo motivo, sarà stato anche per il concorso di altri fattori,
accade che in Gallipoli, a partire dal 1484,iniziano ad apparire
pubblicamente discorsi e simboli che rivelano una qualche attinenza con
l'accaduto.
Alcune famiglie nobili, note in Città per aver dato uno o più Sindaci,
iniziano a fregiarsi di stemmi che in un modo o nell'altro comportano
nella loro raffigurazione complessiva espliciti riferimenti all'assedio.
II primo storico che si è interessato al problema è stato il Notaio
Vincenzo Dolce, il quale ci ha lasciato il suo splendido lavoro, del
tutto ancora inedito, diviso in due parti; la prima ha per titolo «
Illustrazioni sugli stemmi dipinti nella sala del Palazzo Comunale di
Gallipoli », la seconda ha invece per titolo « Codice Diplomatico
Gallipolitano ».
Ancora oggi questi poderosi manoscritti, di cui uno miniaturato, sono
conservati nella civica Biblioteca Comunale e la loro importanza è del
tutto eccezionale in quanto in essi è riportato, tra l'altro,lo stato
in cui versava allora il palazzo municipale di Gallipoli.
Oggi quel palazzo, che è ubicato nel centro della Città antica dal
fianco della Biblioteca Comunale, è in stato di totale abbandono e gli
stemmi, che il Dolce descrisse e che pure lo stesso Massa vide agli
inizi del nostro secolo, non esistono più, forse perché coperti da
calce o forse perché distrutti in epoca recente (probabilmente ai primi
del '900).
L'unica possibilità che oggi ci è rimasta di vedere
quegli stemmi è appunto il lavoro del Dolce che li riportò fedelmente
acquerellandoli a mano.
Ma, per ritornare agli stessi, è bene
affrontare subito il problema, precisando da ora che a noi qui non
interessa tanto il discorso dal punto di vista prettamente araldico,
perché bene questo lo fa già lo stesso Dolce nella sua introduzione;
interessa invece rilevare dalla sua opera quegli stemmi di Sindaci
gallipolitani che secondo l'autore portano raffigurate scene o
riferimenti attinenti all'assedio e alla presa della Città da parte dei
Veneziani.
Dolce ci dice che « i patrizi che occupavano il Sindacato dipingevano
nella sala del Palazzo Comunale le imprese del rispettivo casato,
scrivendo il nome dell'individuo e l'anno dell'esercizio. Questa
consuetudine incominciò nell'anno 1484, e proseguì in ordine
cronologico fino ai nostri giorni, rilevandosi chiaramente che 63
famiglie soltanto per più secoli esercitarono la dignità accennata ».
Delle 63 famiglie Dolce riporta soltanto 52 stemmi, perché, secondo
quanto egli stesso afferma, « nell'anno 1691 si ristaurarono le
imprese, perche' il tempo le avea quasi cancellate », per cui di
qualcuna era andato perduto il blasone. Afferma oltre « che niuno di
tali scudi trovasi coronato, nonostante che alcune famiglie aveano
diritto a coronarlo, ma siccome ciò era parziale e non per tutte, così
ne avvenne che per non usar distinzioni fra il ceto medesimo tutte
dipingessero in quel pubblico luogo il proprio stemma senza corona ».
II primo scudo che noi abbiamo trovato nel lavoro del Dolce e che fa
esplicito riferimento all'assedio dei Veneziani è quello degli
Specolizzi.
Scrive il Dolce che il Sindaco Costantino Specolizzi « fu il primo che
fé dipingere sulla sala del Palazzo Comunale - siamo nel settembre del
1484, proprio il mese in cui Gallipoli fu abbandonata dai Veneziani -
il suo scudo ». In questo stemma, racchiuso in una cornice esagonale, «
evvi in campo azzurro una fascia da dritta a manca di colore arancio
dinotante onore, di cui si gloriò sempre la sua famiglia, ed entro la
fascia v'intersò tré colombe nere simbolo delle tré luttuose giornate
di quel fierissimo combattimento ».
Così il Dolce, discorrendo sul Sindaco Costantino Specolizzi,
ricostruisce l'assedio veneziano di Gallipoli: « Viveva Gallipoli nello
stato il più tranquillo. Ogniun de' suoi abitatori era occupato alle
proprie faccende dell'agricoltura, delle arti liberali e meccaniche,
della pesca e di altri mestieri.
Allegro sempre il popolo gallipolino e non curante dell'avvenire. Le
donne del volgo nella loro semplicità lavoravano la lana, ed il lino.
Le matrone applicate alla educazione delle proprie figliuole
instillavano ad esse con l'esempio dignitoso sentimenti di religione,
di virtù, e di morale. I patrizi intenti alla lettura ponderavano le
notizie giunte d'altrove.
Amavano assai Rè Ferdinando d'Aragona, ed i loro pensieri erano a lui
rivolti udendolo implicato in una guerra co' Veneziani, i quali stati
erano la cagione onde i Turchi espugnassero Otranto, quando allo
spuntar dell'alba del 16 maggio 1484 lungi nel mare compariscono alcune
vele. Frettolose ritornano le nostre barche pescareccie sgomentate,
poiché una formidabile flotta ingombrava tutto il mare dietro quella
punta di terra chiamata Acroterio e che or si appella Pizzo. Queste
vele prendono la rotta per Gallipoli, e già scorgevasi sulle antenne
sventolar la bandiera di S. Marco. Che cosa vorranno cedesti Veneziani?
Giacomo Marcelle, che qui trovò la sua tomba, di lor Comandante intima
la resa della Città a nome della Serenissima Repubblica. Sindaco era lo
Specolizzi.
Si risponde che il proprio Signore era il Rè Ferdinando d'Aragona, e
non altri. Allora Marcelle sbarca le sue truppe, le provvigioni, e
l'armi. Opponesi la Città gagliardamente con le poche artiglierie che
si trovava, e con le deboli mura, che la cingevano. Suo
baluardo erano i petti de' Cittadini. Il combattimento più accanito
avvenne ne' tré dì susseguenti. Prodigi! di valore degli uomini e delle
donne gallipoline, finché la Qttà dal numero de' nemici fu oppressa e
superata. Specolizzi che in mezzo al combattimento univa a' talenti
civici il più fermo valore, e la più esperimentata costanza, fu
malmenato dal superbo vincitore. Umiliata Gallipoli cadde dal primiero
suo splendore, ed i suoi archivi ricchi di frutti storici, e
sopravvanzati ad una nobile antichità furono involati, sperperati e
distrutti. Tali sono gli effetti della guerra, soprattutto quando è di
un potente contro di un debole, e quando sopraggiunge improvvisa.
Allora tutto è confusione, ed ogni resistenza si rende vana. Da'
contemporanei e dalla posterità somma lode riscossero i gallipolini,
che con deboli mura e pochi difensori sostennero per tré giornate
l'urto impetuoso di settemila combattenti ».
II secondo stemma
che dimostra attinenza con l'assedio è quello del Sindaco Antonio
Stilavi, che resse quell'ufficio nell'anno 1485 e che fu parte attiva
nella battaglia dell'anno precedente.
« Lo stemma di questa famiglia - dice il Dolce - ci presenta in campo
aurato un albero di quercia che sebbene si elevi rigoglioso, pure in
due rami è sfrondata e monca. I venti impetuosi e le bufere invano
lottano con questa quercia annosa, ed invano il Leone di S. Marco le
ruggisce intorno e tenta divellerla dalle radici: essai sostiene
l'urto, sebbene le si fossero recisi due grossi rami dai vorticosi
buffi di quel vento tremendo, ed in mezzo ad un campo di orog dimostra
che era stata ricca, amorevole, onorata ».
E' chiaro per l'Autore il simbolo quercia-Gallipoli di questo stemma,
meno chiaro è il riferimento ai due rami spezzati e spogli. Il Dolce ce
ne chiarisce uno, che è quello dell'assedio del 1484, nulla invece ci
dice dell'altro altro stemma di Sindaco che fa esplicito riferimento ai
nostri fatti è quello della famiglia Patitari.
Guglielmo Patitari, che fu Sindaco appunto nel 1490 e che, come ci fa
sapere il Dolce, ebbe moltissima parte nella difesa della Città sei
anni prima, fece dipingere nella sala del Palazzo Comunale il suo
stemma che somiglia moltissimo a quello precedente della famiglia
Specolizzi.
Così il Dolce lo descrive: « Veggonsi in campo azzurro una fascia di
colore arancio da dritta a manca con tré colombe nere allus sive alle
tré luttuose giornate di quel combattimento, e di queste colombe due
sono inquartate alla fascia, e l'altra giace nella parte inferiore
dello scudo, dinotante l'ultima giornata, in cui si arrese Città».
Splendida, secondo noi, è questa raffigurazione araldica dell'assedio
del 1484, rappresentando le due colombe nere poste sulla fascia le due
giornate di eroica resistenza della Città, mentre la colomba giacente
nella parte bassa dello scudo la capitolazione, Non c'è dato sapere
donde il Dolce abbia attinto le notizie che riporta, non essendo
indicata nella sua opera alcuna fonte. Pertanto la interpretazione
della raffigurazione araldica degli stemmi potrebbe anche non essere
veritiera, ma frutto di fantasia dell'Autore.
C'è, comunque, da dire che le tesi del Dolce vengono sposate anche da
altri studiosi di storia locale degni considerazione, come ad esempio
oio il Vernole ed il D'Elia, i quali o hanno preso per buone le
affermazioni del Nostro o hanno avuto per le mani le stesse fonti di
cui il Dolce si servì. Certo è che, se il Dolce riscontrò nelle
raffigurazioni araldiche di alcune famiglie attinenze all'evento del
1484, ne avrà avuto le sue buone ragioni; infatti lo stesso, pur
avendone gli elementi ed i motivi, nessun riferimento esplicito riporta
discorrendo della famiglia Arcana, che nel suo scudo presenta su
un'Arca una colomba nera (che si tratti di colomba, e non di corvo come
si potrebbe facilmente desumere dalla Bibbia, è confermato sia dal
Foscarini che dal Vernole) « dinotante qualche sventura cui la famiglia
medesima avrà soggiaciuto », o della famiglia Assunti, nonostante che
il Sindaco Antonio, eletto nel 1487, avesse anch'egli tré anni prima
preso parte alla strenua difesa di Gallipoli, o della famiglia
Camaldari, che perse in quella battaglia Francesco, o ancora della;
famiglia Sermagistri, che registrò la morte di Sermagistro e la fattiva
partecipazione alla difesa della Città da parte dell'altro fratello
Filippo.
Comunque, questi sono gli stemmi riportati dal Dolce e che noi abbiamo
ritenuto leggere e descrivere avendo come punto di riferimento
l'assedio e la presa di Gallipoli da parte dei Veneziani nel 1484.
Cominciarono ad essere dipinti nella sala del Palazzo Comunale proprio
allo spirare di quel secolo e continuarono la serie fino allo spirare
dell'800.
Poi questa abitudine fu abolita e nessuno dei Sindaci successivi
pubblicò più il suo stemma, se mai l'avesse avuto. Solo la municipalità
italiana continuò ad essere raffigurata mediante stemmi: così come ha
continuato a farlo Gallipoli con il suo gallo coronato e Venezia con il
suo leone alato, uniti oggi nell'unico scudo, opera dell'artista Angela
D'Onofrio, preso a simbolo del convegno, a significare una nuova era di
fratellanza e comunione di intenti fra le due Città.
Vitantonio Vinci e Maurizio Nocera